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Capitolo ottavo

L'invidia della castrazione

È stata intrapresa una battaglia tra abbienti e non abbienti. Credo che le cause risiedano in ciò che ho deciso di chiamare "invidia della castrazione". Le relazioni fondate sulla proprietà privata sono il prodotto della mutua opposizione delle categorie di genere, unita alla posizione privilegiata dell'esemplare del concetto. Il bambino scopre di appartenere alla categoria opposta a quella della pratica del dono, a causa di ciò che ha (il pene), mentre la madre viene definita donna perché dona (cura) e perché non ha (il pene). La categoria "avente" si oppone alla categoria "donante"; la pratica del dono e il non avere s'identifica-no reciprocamente e con l'essere donna. Il figlio maschio appartiene alla stessa categoria del padre (che è un esemplare del concetto privilegiato, l'"uno"), ma dovrà partecipare al ruolo dei "molti", le cose, chi cede il passo, i deboli, prima che questa relazione possa essere invertita e lui possa, in quanto adulto, diventare l'esemplare o l'"uno". Il ruolo del bambino è simile anche a quello della merce, nel confronto continuo a uno standard di valore generale quantitativo. Mentre l'"avere" pone il bambino in una situazione competitiva, che potrebbe essere considerata difficile e negativa, egli è consolato dal fatto che appartiene al genere privilegiato al quale viene dato di più.

Il denaro è il "dono" sostitutivo (materiale) della merce, e l'esemplare della categoria del valore. Prende il posto di ogni altro modello concettuale come esemplare del valore dei prodotti di scambio, nella loro transizione di allontanamento dal modello del dono. Il proprietario sta alla proprietà come il denaro sta alla merce, come il padre sta al figlio, come il pene del padre sta a quello del figlio, come l'e-semplare sta ai molti che vengono a esso confrontati1.

Il maschio è l'uno che possiede la "marca", che lo met-te in evidenza sia come potenziale esemplare uomo sia come potenziale proprietario, in una relazione uno-molti con la sua proprietà. Il pene è forse l'elemento esemplare della proprietà; ma è inalienabile: l'uomo non può rinunciarvi né vi rinuncerà2. Il padre patriarcale sta in una relazione di similarità uno-molti con la famiglia, una relazione di proprietà. In un certo senso il controllo del padre sulla famiglia sembra necessario considerando che, nella scarsità, chi dona sarà mancante se non riceve da altri e chi invece tie-ne per sé e non dona non sarà mancante (c'è sicuramente anche un aspetto di ritenzione anale in tutto questo). Alle madri e ai figli/e sotto il controllo del padre può essere imposto di non praticare il dono al di fuori della famiglia, di non soddisfare i bisogni di altri/e sessualmente o material-mente. Coloro che hanno continueranno perciò presumibilmente a sopravvivere, nella scarsità. L'uno che ha, possedendo grosse quantità di denaro, l'esemplare del valore, assicura più alimenti per sé e per quelli che sono in relazione con lui, sotto il suo controllo uno-molti nella famiglia strutturata in funzione del concetto.

Lo scambio, esigendo equivalenza, pone un elemento relativo a confronto con uno standard, e quindi questo elemento entra nel processo concettuale. Lo stesso processo si verifica in diversi ambiti della vita: nella mascolazione del bambino piccolo, in misurazioni e prove di ogni tipo, voti scolastici, record sportivi, concorsi di bellezza; la relazione del presidente con i cittadini, della star della musica e del cinema con i fan, di un maiale da primo premio con il porcellini, sono variazioni sul tema.

Analoga allo scambio è la cerimonia matrimoniale occidentale, in cui la donna è un "elemento" che viene trasferito fuori dal gruppo familiare, relativo al padre quale "uno" esemplare, verso una nuova relazione con il mari-to quale "uno" esemplare. Negli USA questo modello comincia a cambiare in una certa misura, sebbene subiamo ancora la sua influenza, mentre in altre parti del mondo esso è ancora consolidato nelle sue diverse varianti. Benché il giorno delle nozze sia ritenuto il giorno più felice nella vita di una donna, un giorno esemplare, e la donna stessa venga considerata in quel caso l'esemplare di Donna, ella semplicemente interpreta la parte di un oggetto esemplare in un processo in cui subisce l'appropriazione da parte del suo (nuovo) sostituto, il marito, che funziona in modo molto simile alla parola. Perciò è opportuno che la donna prenda il nome del marito.

Si è formata una nuova unità autoreplicante di fami-glia-concetto, in cui i bambini continueranno a imparare a diventare "maschi" rinunciando al processo del dono (talvolta penalizzandolo e degradandolo), e le bambine poi impareranno a dare i propri doni e la propria fedeltà all'esemplare maschio. La proprietà, come il matrimonio, è basata sull'esclusione mutua degli "uni"3. Ogni pro-prietario/a è in una relazione uno-molti con le sue proprietà, e in una relazione mutuamente esclusiva con ogni altro/a proprietario/a. Il denaro interviene come esemplare del concetto di valore, con il quale i prodotti sono in relazione e dal quale vengono sostituiti, così come il sacerdote interviene tra il padre e il marito per regolamentare il trasferimento della donna (ancora donatrice) da un "concetto" familiare a un altro. La modifica della relazione tra coloro che appartengono a una categoria, rispetto a un esemplare, così che possano essere trasferite a una diversa categoria (mutuamente opposta) e a un di-verso esemplare, richiede una parola definitiva, pronunciata dal sacerdote o presentata dall'acquirente come porzione effettiva della parola materiale e dell'esemplare di valore (il denaro); gli atti, le licenze e i contratti sono rappresentazioni durevoli delle parole definitive.

Il lavoro e il denaro

Nella vendita di ore lavorative avviene pressappoco la stessa cosa; ma la manodopera viene spesso prestata gratuitamente alla famiglia e ai conoscenti, e tali doni e servizi permeano in realtà gran parte della vita, così essa è alquanto più flessibile della proprietà privata. A causa della scarsità, i posti di lavoro (manodopera monetizzata) assumono l'apparenza di doni. Molte donne e uomini non ricevono tale dono, di essere cioè definiti/e in base al denaro, che consente la loro sopravvivenza. La monetizzazione, o l'assenza di essa, è uno strumento del potere, poiché definisce un gruppo come rilevante rispetto al concetto di valore economico, l'altro gruppo come irrilevante (essi non hanno la "qualità comune" del valore di scambio). Questa categorizzazione implica che chi sta al di fuori del gruppo privilegiato potrebbe entrarne a far parte se solo fosse abbastanza bravo, efficiente o istruito; il suo successo o fallimento sembra dipendere dal fatto se è "abbiente" o "non abbiente"4. Il valore di scambio è importante perché dà accesso alla categoria in cui è possibile sopravvivere. La scarsità, tuttavia (il "non avere"), necessaria perché lo scambio prevalga come processo, viene creata artificialmente così che la categoria monetizzata (dell'"avere") possa es-sere privilegiata.

Gli uomini mascolati hanno tradizionalmente bisogno di donne che siano state abbandonate e private del dono di appartenere a una categoria privilegiata, senza un diploma o un titolo (un'altra mascolazione verbale), o un lavoro monetizzato (mascolazione monetaria), che si prendano cura di loro per renderli più capaci di avere successo nella spietata competizione per appartenere alle categorie altamente monetizzate. Questo è il punto di contatto in cui capitalismo e patriarcato fanno leva su a coloro che loro stessi definiscono "diversi": il sistema complessivo ha bisogno e fa uso dei bisogni individuali di chi si trova al di fuori della categoria dei lavoratori. Ad esempio, il mercato del lavoro ha bisogno dei disoccupati che vogliono un impiego, per poter mantenere basso il costo del lavoro; coloro che svolgono lavoro monetizzato hanno bisogno del lavoro gratuito di chi non svolge lavoro monetizzato, lavoro che passa attraverso i lavoratori permettendo di aggiungere più lavoro-dono al loro impiego. Il sistema ricompensa chi lavora contrapponendo il suo relativo benessere alle sofferenze provocate dai bisogni insoddisfatti dei disoccupati5. Così, gli "abbienti" sono incoraggiati ad attribuire un maggiore valore relativo a ciò che hanno, attraverso la paura dell'abbandono e delle sofferenze sperimentati dai "non abbienti". Analogamente, il maltrattamento di donne e bambine, persino (in alcune culture) l'abbandono delle neonate perché muoiano, porta coloro che hanno la "marca" ad attribuire una maggiore importanza a essa e al fatto di appartenere alla categoria mascolata, per via della paura che se fossero donne "non abbienti" potrebbero subire simili maltrattamenti.

L'errore primordiale

È come se ci fosse un ragionamento inconscio di questo tipo: se il bambino, a causa del suo pene, è stato posto nella categoria di quelli che non nutrono, potrebbe rimediare a questa estraniazione con la castrazione e, quindi, desiderarla per poter essere come la madre nutrice (Freud ha rivelato che spesso temiamo ciò che desideriamo). Attraverso la misoginia, la società gli mostra che le ragazze, che sono nate "castrate", vengono penalizzate ancora più intensamente di lui, perciò egli dovrebbe dare valore a ciò che ha. Si potrebbe dire che abbia sofferto di invidia della castrazione, ma che ne sia guarito da adulto attraverso il maltrattamento dei "non abbienti". E maggiori saranno i beni che otterrà da essi, maggiore sarà il suo "avere" e, si suppone, minore il suo desiderio di es-sere come loro o di invidiare le loro mancanze.

Forse il bambino vorrebbe dare il proprio pene alla madre, perché lei non ne ha uno, soddisfacendo così il "bisogno" di lei di appartenere alla categoria superiore. Decide però di tenerlo (lo tratta come una proprietà inalienabile e, perciò, di maggiore valore di ciò che darebbe via). Rinuncia a darlo e al tempo stesso rinuncia al paradigma del dono. Così, dimostra che il modello del dono è alienabile, o ha meno importanza per lui di quanto non abbia il tenere il pene (non venire castrato) e rimanere nella categoria "maschio". Nello scambio6, egli adotta la sessualità genitale al posto delle pratiche di cura, così come la società nel suo insieme adotta lo scambio economico al posto della pratica del dono. Come adulto, accumulando proprietà e denaro (che possono essere sia tenuti che dati), egli ha una nuova possibilità di tornare a impegnarsi nelle pratiche di cura selettive verso gli altri. Può infatti, se raggiunge un certo livello di ricchezza, dare in abbondanza, se lo vuole, e apparire finalmente persino più bravo a donare di quanto non era la madre, che comunque gli era utile soltanto nell'infanzia. Donando a pochi, egli può ripetere quel modello, privilegiando costoro rispetto ad altri/e che sono non abbienti, ripetendo il proprio ingresso nella categoria privilegiata, rendendoli "abbienti" in opposizione alle loro controparti (economiche o femminili) "non abbienti".

Un altro difetto che appare nel cedere il passo o mettersi da parte della madre come modello per il figlio maschio è che il figlio, non risultando inalienabile non sembra essere riconosciuto prezioso; potrebbe anche sembrare che la madre abbia rinunciato al proprio pene, che lo ab-bia persino dato al bambino. Il padre, invece, non ha questo difetto, poiché ha tenuto il proprio pene, e mantiene il figlio nella propria categoria di genere; sembra sapere come non rinunciare a troppo. Se il padre fosse stato la madre – potrebbe pensare il bambino – ella avrebbe il pene, ed egli stesso (il figlio) sarebbe ancora come lui/lei e sarebbe ancora in grado di svolgere le pratiche di cura. Questa linea di pensiero speculativa sarebbe comunque discutibile, poiché non è il pene che sottrae il bambino alla categoria della madre, bensì l'interpretazione sociale del pene, e la costruzione di genere basata sulla opposizione dei termini di genere. Socialmente, lo denominiamo "maschio" perché ha un pene; se volesse rimanere nutritore – e sarebbe auspicabile, quale piccolo homo donans – non dovrebbe modificare il suo corpo, rinunciare al pene, ma solamente cambiare il nome e il concetto di genere nella sua società (un compito arduo, ma decisamente meno minaccioso che perdere una parte del corpo). Questa cura del linguaggio eviterebbe che il ragazzo desideri ciò che deve pure temere e non deve raggiungere: cioè la sua castrazione. La società riuscirebbe a smettere di iperprivilegiare gli "abbienti" e penalizzare i "non abbienti" sia rispetto ai genitali maschili sia rispetto al denaro e agli altri tipi di proprietà.

Puerarchia

I ricchi spesso temono il non avere, anche se potrebbero desiderare di partecipare a un'economia del dono con coloro che non hanno. Lo stesso tipo di privilegio che premia i bambini a discapito delle bambine viene da-to ai ricchi a discapito dei poveri. La paura di castrazione simbolica tormenta il ricco, ed egli percepisce il bisogno degli altri/e come un desiderio di prendere ciò che egli ha, castrandolo dei suoi beni, relegandolo alla categoria non privilegiata. Le donne ricche occupano una posizione contraddittoria, perché possiedono soltanto denaro o proprietà: non hanno la "marca" maschile del privilegio. Potrebbe essere questo il motivo per cui comprano oggetti costosi da indossare, come i gioielli, per dimostrare la loro appartenenza alla categoria superiore.

Pistole e coltelli sono marche che riaffermano l'equa-zione fallica e permettono talvolta al povero d'imporre al ricco la pratica del dono mediante il furto. Il ricco impone spesso la pratica del dono al povero mediante la pressione dei bassi salari e altri mezzi di sfruttamento; non lo definisce però furto, bensì profitto. Il sistema di ricavo dei profitti viene difeso da gerarchie di polizia o militari armati di pistole e coltelli; il povero viene penalizzato perché "non abbiente", mentre il ricco ricompensato perché "abbiente".

L'intensificarsi dei bisogni dei poveri dimostra la necessità della economia del dono su larga scala. Rinunciare ai soldi assomiglia simbolicamente però a rinunciare al pene (castrazione), rinunciando alla categoria privilegiata e così alla possibilità di vivere nel-l'abbondanza. L'abbondanza è una buona cosa in sé, ma viene utilizzata per ricompensare l'"avere", il nondonare e la categorizzazione, la definizione e le equazioni, che derivano dalla mascolazione. Creando una povertà diffusa, il capitalismo pone le condizioni per il prevalere dell'economia dello scambio, e trasforma ciò che sarebbe un'eredità di tutti nella ricompensa dei pochi fortunati, così come fa la mascolazione con l'ab-bondanza della madre. La relazione tra "abbienti" e "non abbienti" inscena la combinazione di paura e desiderio della castrazione che sorge dalle false categorizzazioni della mascolazione. L'ansia dei figli maschi ha lanciato il suo incantesimo sulla società nell'insie-me, provocando danni incredibili. Potrebbe essere difficile per noi riconoscere questa situazione, poiché inconsciamente sentiamo di dover ripagare il danno che è stato fatto; in tal caso, tuttavia ragioneremo inutilmente secondo il paradigma dello scambio

Nessuna somma basterebbe a compensare il danno che è stato fatto, ma il punto è che se vogliamo accede-re al paradigma del dono dobbiamo in ogni caso perdonare. Possiamo cominciare ridefinendo il sistema come qualcosa che ha bisogno di essere cambiato, non soltanto come un accettabile status quo, e possiamo cominciare col soddisfare quel bisogno. Possiamo reinterpretare il patriarcato alla luce del paradigma del dono come un brutto sogno, e ricominciare tutto daccapo. Dovremmo forse assegnare un nuovo nome a questo sistema fondato su un tale incubo di castrazione infantile, chiamandolo non più patriarcato ma "puerarchia", legge del bambino; oppure "puer"-archia – legge della parola "bambino".

La misoginia

Il maltrattamento delle donne in genere può anche essere visto come una rappresaglia contro la madre per aver ceduto il bambino all'altro genere. Un tale scam-bio (o pareggio del conto) non è forse solamente un attacco mercenario ma un rinnovato tentativo di formare un concetto creando ripetute istanze del problema di inclusione/esclusione in base alle proprietà fisiche. Questo tentativo non è riuscito, benché l'abbandono dei "non abbienti" da parte degli "abbienti" si sia verificato su scala sempre più ampia. Adesso gli "abbienti" sono circa 250 milioni di persone, mentre i "non abbienti" sono 5,5 miliardi. Una delle ragioni di questo fenomeno è che la traduzione del problema di avere o mancare del pene nei termini economici di avere e mancare dei mezzi di sussistenza ha creato innumerevoli nuovi problemi e camuffato la loro origine comune nell'errata percezione infantile. Qui, contrariamente al-l'incubo infantile (in cui si può temere che le madri cedano il proprio pene ai figli maschi), i "non abbienti" danno in realtà agli "abbienti", sebbene ciò venga dissimulato con un'eccessiva enfasi sul presunto valore e merito degli "abbienti", la cui posizione di "uno" viene mantenuta dalle gerarchie e ottenuta mediante la competizione e la dominazione.

L'equivoco che crea una tale terribile distorsione dei valori (e della realtà stessa) è molto profondo matanto innocente ed evidente da risultare invisibile. È soltanto la mascolazione e il conseguente allontanamento dal modello della pratica materna che ci fa dare più valore alla morte e alla distruzione che alla vita e al benessere di tutti. Gli "abbienti" dovrebbero dona-re ai "non abbienti", donare per soddisfare i bisogni, e non abbandonarli o ucciderli penalizzandoli perché non hanno – o per far sì che gli "abbienti" possano dare maggior valore alle loro proprietà, gli impieghi, il denaro, i falli e altro. Sto cercando d'individuare e di spiegare alcuni modelli che ritengo siano alla base dei nostri problemi. Non nego che molti uomini amino la propria prole, o che i bambini spesso mantengano la capacità di svolgere le pratiche di cura (forse su alcuni di loro la mascolazione semplicemente non "prende"); ma credo che tali modelli creino profondi contrasti nella nostra cultura, intacchino a fondo le nostre istituzioni e influenzino il comportamento di tutti/e in modo inutilmente negativo.

All'astrazione "bambino = padre" viene data una maggiore importanza rispetto alla concreta relazione creativa basata sulle pratiche di cura, nell'elenco delle priorità soggettive ("marginali")7dei genitori. L'affinità fisica visibile è più importante di quella comportamentale e della costruzione continua ad hoc dell'Io, fondata sull'amore. Ciononostante questa deve comunque avvenire, benché possa venire camuffata dalla sottomissione della madre e il "meritare" del figlio. L'equivalenza tra il figlio e il padre è au-to-convalidante grazie all'"effetto specchio"; il figlio riflette il padre che a sua volta riflette se stesso nel figlio (il padre si autoavvera quale "uno" esemplare nel suo essere l'e-quivalente rispetto al quale il bambino è relativo) e attraverso altri esempi di relazioni concettuali nel contesto più ampio. La pratica del dono è "convalidante dell'altro". Attualmente la pratica del dono si prende cura erroneamente dello scambio come suo "altro" e conferma l'equivalenza cioè il principio della sostituzione; alimenta la contraddizione di sé, la sostituzione della pratica del dono e il suo rimpiazzo con l'equazione fallica. Le donatrici danno al processo dello scambio come fosse il loro "altro", trasformando in "altro" anche il bambino, lasciando che l'esem-plare del padre le sostituisca, creando l'immagine maschile (di equivalenza e sostituzione) perché il bambino la segua. Un processo semplice orientato verso l'altro dona a un altro processo complesso, artificiale e auto-riflettente.

La madre sostiene la similitudine del figlio con il padre e la alimenta, se ne prende cura; afferma l'importan-za della loro similitudine mentre è ovvio (e non) che ella non pretende che il bambino le assomigli perché lei in realtà se ne prende cura. Egli è diverso da lei (in primo luogo perché è un bambino, poi perché lo si sta rendendo maschio). Il privilegio e l'attenzione del padre sembrano dipendere dalla somiglianza del bambino con lui e forse dalla grandezza del figlio, e perciò anche dalla grandezza del pene, che non è certamente uguale a quello del padre (l'equivalenza tra di loro è dunque soltanto controfattuale e programmatica sin dall'inizio).

A questo si può aggiungere poi il bisogno o il desiderio di affermare la paternità e, perciò, anche il privilegiare altre affinità fisiche come i tratti del viso, il colore dei capelli e della pelle, l'altezza; anche certi aspetti del comportamento possono essere identificati come similari. Ancora, l'obbedienza alla parola del padre fa sì che il bambino agisca in funzione dei suoi programmi, mostrando così a chi "appartiene" il figlio. Il carattere di "appartenere a" è importante anche per le bambine; hanno bisogno di appartenere al padre e, quindi, devono obbedire alla sua Legge, anche se alla fine dovranno essere uguali alla madre. Questa esigenza si verifica perché la proprietà e il concetto coincidono quali modelli uno-molti. Dal momento che il padre non può essere il modello di genere per la figlia (l'altro modello uno-molti), la relazione di proprietà emerge in modo più forte; le bambine seguono il modello delle madri nell'appartenere al padre e nel dare importanza alla relazione concettuale uno-molti tra i maschi.

Per mantenere al loro posto i paradigmi dello scambio e del dono, è spesso necessario che gli scambiatori evitino persino l'apparenza di pratica del dono. Nello scambio vie-ne tuttavia praticata una grandissima parte di pratica del dono, attraverso il plusvalore, il lavoro-dono, e come risultato stesso della frode; persino cose come l'inflazione, la stampa di nuovo denaro e le differenze tra i tassi di cambio offrono doni gratuiti ad alcuni. Tutto questo vie-ne completamente occultato da una apparenza di scambio equo. È per questo che dobbiamo mantenere gli occhi puntati sull'apparenza di uguaglianza, e questo è un dono di uguaglianza, cioè che essa nasconde i doni della pratica del dono e il superamento della diversità. Lo stesso avviene col cambiamento di categoria del bambino: l'ugua-glianza con il padre nasconde ciò che ha perduto per acquisire il suo privilegio, cioè il modello del dono di cui sembra sia stato privato, defraudato, da cui in realtà viene il bene. Una volta che ha rinunciato alla pratica del dono, è come se la società decidesse di ridurre le sue perdite nel compromesso. Lo scambio equo appare come la cosa migliore che ci possa essere, così puntiamo l'attenzione sui suoi doni, che sono i valori del patriarcato: la sicurezza sotto la legge del patriarca onorato e (occasionalmente) benevolo, l'uguaglianza e la giustizia. Questi valori sono poi accompagnati dalla dominazione e dalla cancellazione dei valori della pratica del dono e dell'abbondanza: l'o-rientamento verso l'altro, la gentilezza, la tolleranza, la diversità e lo slancio d'amore attraverso la sinapsi.



1 Il denaro prende il posto del proprietario come "esemplare" del concetto al quale le merci sono in relazione come valori, finché non è ceduto dal compratore e i beni trasferiti si rapportano come proprietà al nuovo padrone come "esemplare". Una relazione di proprietà uno-molti viene soppiantata da una relazione del concetto di valore uno-molti e poi s'instaura una nuova relazione di proprietà uno-molti.

2 Vedi il saggio di Annette Weiner (1992) sulla logica economica del nondonare in varie culture.

3 Credo che la rete di solidarietà maschile (Old Boys Network), come il gruppo dei proprietari, concretizza i valori basati sulla differenza delle parole in reciproca opposizione nella langue. Storicamente le donne e i bambini/e stanno ai loro mariti e padri nella stessa maniera in cui le proprietà stanno ai loro proprietari e le cose alle parole che le rappresentano. Ogni membro della categoria mariti/padri è in relazione mutuamente esclusiva, basata sulla differenza, con ogni altro, mentre è in una relazione uno-molti con la propria famiglia. Il marito/padre deve impedire agli altri "uni" di prendere il suo posto, e i proprietari devono affrontare una simile sfida. Nella langue, ogni parola è in una relazione differenziale con tutte le altre, mentre ha una relazione inclusiva uno-molti con le cose legate a essa quale loro nome. Abbiamo detto che quando l'esemplare non è più necessario per formare il concetto, esso diventa semplicemente una delle cose appartenenti a un tipo. La sua rimozione potrebbe tuttavia essere attribuita anche alla sua incorporazione o assunzione nella parola, una sorta di logoficazione. I maschi, soprattutto quelli appartenenti alle categorie "superiori", sembrano diventare parole e le femmine (e altri di categorie "inferiori") sembrano diventare cose "reificate" (v. supra, Fig. 12).

4 L'idea di vendere e comprare ore di lavoro sembra essere abbastanza chiara ma c'è molta differenza tra il possesso delle nostre vite e il possesso di beni. La relazione che abbiamo con la nostra vita non è "uno-molti", come invece la nostra relazione con la proprietà, per quanto potremmo dividerla in periodi di tempo e potremmo avere o meno diverse qualità o competenze vendibili.

5 L'istituzione del welfare definisce "povera" la categoria esclusa e fa sì che lo Stato patriarcale svolga una minima pratica del dono. È una paradossale mascolazione di persone quali "non abbienti" con la conseguente umiliazione che consente il mantenimento di una sottoclasse che identifica le cause della propria povertà nei difetti personali ("carenze").

6 Forse il sostegno monetario che egli dà alla propria moglie è un modo di farle "avere" ciò che non ha potuto dare alla madre.

7 Il marginalismo in economia si basa sulla considerazione della relativa alienabilità e inalienabilità delle proprietà. Gli operatori economici dovrebbero chiedersi che cosa sono meno disposti a cedere.


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