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of The Gift Economy


Forgiving: A Feminist Criticism of Exchange
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Capitolo sedicesimo

Il punto dell'ego

Io credo che la coscienza derivi in parte dall'intera-zione di diversi livelli di cooperazione. Nel patriarcato, però, non soltanto diventiamo coscienti ma formiamo la coscienza basata sull'ego mascolato come segue: quando noi (o altri) attribuiamo un carattere esemplare a noi stessi, considerandoci "il punto", così come faremmo rispetto a qualcosa del mondo esterno, diventiamo anche il nostro stesso argomento, la cosa che "risponde indicando". Questa auto-referenzialità chiude tutti i ponti, le porte, blocca la visione dei suoi antecedenti, riflette; prende il posto dell'altro, interrompendo il flusso orientato verso l'altro. Noi diamo credibilità a questa portaspecchio chiusa (sembra uno specchio non solo perché sembriamo vedere noi stessi, ma perché anche gli altri sono presi nell'auto-referenzialità). Crediamo nel nostro essere presenti a noi stessi, come se questa fosse la fonte di noi stessi. In base a questo creiamo un ego dominante, come esemplare rispetto al quale possiamo confrontare i nostri diversi momenti (i nostri "molti" interni) e altri più o meno come noi esternamente. Alimentiamo questo momento di equivalenza interna che è auto-simi-lare con gli altri schemi interni ed esterni del processo di mascolazione.

Il voler trovare un'identità di genere diventando relativo al padre quale equivalente, si rinforza reinserendo l'equazione prevaricatrice nella coscienza individuale attraverso l'auto-referenzialità1. Poi invece di dare cure agli altri, diamo valore all'equivalenza al di sopra delle cure anche internamente. Questo diventa alla fine un valutare l'essere al di sopra del dare, l'astratto al di sopra del concreto, il generale sul particolare, anche se queste cose non sono certamente tutte concomitanti. La vera fonte costante dei nostri sé è invece interattiva e proviene dal nostro orientamento verso l'altro, dalla presenza degli altri per noi, e dalla nostra presenza per gli altri. Confondiamo le proiezioni comuni dei nostri auto-ri-flessi auto-referenziali con il centro della nostra creatività. La fonte della nostra capacità di vedere quelle proiezioni e di dare e ricevere è, però, nascosta in fondo al nostro orientamento verso gli altri, come il fuoco che proietta le ombre nella grotta di Platone.

La gente dall'ego mascolato si esprime con le parole, come ogni altro, creando la propria coscienza mediata linguisticamente. Lo specchio dell'ego auto-referenziale diventa il soggetto parlante prevaricatore, ma questa non è una necessità sociale né psicologica. Possiamo avere una mediazione linguistica, un'interazione con gli altri, uno sviluppo del sé senza lo specchio dominante dell'ego, cioè 1 = 1 = 1, che ripete il contenuto della sala degli specchi dell'equazione. Molte donne si sentono infatti a disagio nella nostra società individualistica capitalistica perché generalmente non abbiamo questo tipo di ego2. Molti uomini si sentono anche loro a disagio perché, nonostante le pressioni della mascolazione, hanno mantenuto un legame con il modello della pratica materna.

Libero arbitrio (mascolato)

L'auto-similarità di ogni "uno" con l'indice si verifica anche perché possiamo mettere in pratica attivamente l'indicazione, muovendoci verso l'esemplare, come il dito. Dal momento in cui centriamo l'attenzione su di noi in modo auto-similare, mettendo sullo sfondo alcune nostre parti, rendendoci internamente uno-molti, possiamo intraprendere l'azione verso un obiettivo, un argomento centrale, una destinazione che abbiamo scelto tra le altre. Spesso chiamiamo questo processo "volontà". Ma a quel punto di solito non stiamo prendendo in considerazione l'impulso comunicativo o di pratica del dono, che sta dall'altra parte della porta-specchio dell'ego. La motivazione del donare sembra far parte dei molti, di tutti gli altri contenuti della nostra coscienza di cui non ci stiamo occupando. Possiamo decidere di lasciare o meno che le nostre e-mozioni, i nostri impulsi di orientamento verso l'altro, oltrepassino la porta, facendoci ignorare lo specchio e soddisfare i bisogni degli altri. La nostra "giusta" motivazione, il punto delle nostre azioni, sembra venire dal riflesso auto-similare.

Valutiamo, "cosa è meglio per me?". Il bisogno di questo filtro è stato creato dal contesto competitivo del patriarcato; dobbiamo sapere anche "chi siamo" per sopravvivere3. Dobbiamo essere in grado di dire di che genere, classe, razza, religione, sessualità siamo e così, conoscendo la definizione di noi stessi, conosciamo il nostro posto nel patriarcato e le regole che ci vengono applicate: come sopravvivere nel sistema, come essere meno vulnerabili. L'auto-similarità che ha luogo a diversi livelli ci permette di dire: "Questo è come me; quest'altro non è come me", modellandoci ancora a immagine delle immagini mascolate in diversi ambiti della vita. L'ego in relazione al subconscio è anche un tipo di esemplare del concetto con le ripercussioni che questo ha all'esterno, dalla famiglia al governo, anch'esse fatte a loro immagine. Anche l'esperienza delle donne è di solito in qualche modo diversa da quella degli uomini, perché noi veniamo definite dagli uomini, e quando l'uomo-parola prende il nostro posto nel matrimonio, noi diventiamo la "cosa" esemplare il cui posto è stato preso dalla "paro-la"; "sappiamo" che il nostro posto nel sistema è non stare in cima.

Potremmo vedere l'ego con la sua volontà come un'altra icona dell'indice, che muove letteralmente il corpo verso il proprio oggetto o destinazione (lasciando indietro altri aspetti del sé). Ma quando pratichiamo le cure, l'attività che soddisfa il bisogno, il nostro comportamento si riallinea con la motivazione che sta "oltre la porta-specchio". Quando ci impegniamo nella sopraffazione, nel miglioramento dell'ego, nel comportamento (dello scambio) che nega gli altri, non facciamo altro che espandere il momento auto-similare, lo specchio, riportando il momento del confronto nel concetto. I va-lori dell'ego mascolato filtrano il comportamento del donare escludendolo.

Molte varianti, è ovvio, sono presenti in questa situazione autoduplicante. Alcune donne credono possibile avere un Ego orientato verso l'altro che può creareautoconservazione. È anche possibile praticare il dare post-mascolato, come fanno le donne e gli uomini che sostengono le loro famiglie con il salario che guadagnano. Nel dare post-mascolato, come nella coscienza, c'è un filtro, il bilancio familiare, che dipende dal dare priorità ai bisogni. Questo non è mosso però dal bisogno, come lo sarebbe in una situazione di abbondanza, ma dalla disponibilità.

Nella coppia, gli uomini assumono tradizionalmente il ruolo dell'ego e le donne il ruolo di nutrici, i molti, il subcosciente. Chi è stato screditato, o addirittura abbandonato, in quanto non-uguale (non analogamente auto-similare), riaccede come colui/colei che dà le cure allo standard (maschile) auto-similare. La sua modalità del dare viene filtrata via dalla scena pubblica, e centra-ta sulla famiglia; la sua energia nutre e sorregge il filtro, la scena pubblica e chi ha successo all'interno di essa.

La stessa coscienza di sé è un tipo di filtro basato su scambio-e-mascolazione che media tra la modalità del do-no e quella dello scambio. Anche il possedere proprietà filtra via la pratica del dono, ma la coscienza delle donne è generalmente socializzata a proseguirla. La partecipazione all'economia di mercato permette una riconciliazione tar-diva e parziale delle due modalità. Il lavoratore sostiene una famiglia, dando a essa dalla "proprietà" della propria definizione monetaria, il salario. Il mercato si basa sulla mascolazione, e il suo processo è perciò regolato meglio su chi lo ha vissuto come bambino maschio.

Il mercato è, per le donne, un contesto esterno nel quale possono ovviamente avere successo, ma che mal si concilia con la loro categorizzazione originaria. Guadagnare un salario e sostenere una famiglia risolve i conflitti psicologici che una donna in origine non ha, perciò non ha lo stesso effetto su di lei. Il suo vantaggio è che partecipando al mercato può risolvere il problema pratico dello status "non abbiente", e consente ad alcune donne l'ac-cesso alle categorie privilegiate costruite dal patriarcato.

Il salario, che è una porzione dell'equivalente genera-le, determina la categoria a cui appartiene l'uomo nella famiglia tradizionale, ciò che "vale". Poi l'uomo, dando parte del proprio "nome denaro" alla moglie, può "guarire" la propria mascolazione. Il denaro è un sostituto temporaneo del termine di genere "maschio". Lui non poteva condividere "maschio" con la madre, darle tutto

o parte del suo nome di genere, ma può condividere il suo "nome denaro" con il successore della madre, la moglie donatrice. Il salario determina ciò che lui può ricevere e ciò che può dare ed è, perciò, un filtro, come l'ego. Il giudizio sull'identità di una persona sembra determinare ciò che questa persona può avere, perché si adegua a esso, considerandolo una profezia che si autoavvera.

Le case che una persona aiuta a costruire, come manovale, prendono il posto dei doni della natura e diventano proprietà di qualcuno. Ma il "nome" monetario del lavoratore spesso non gli dà sufficiente denaro per comprarle. Il suo "dare" alla comunità (come scambio) prende il posto del dare individuale orientato verso l'altro e del creare la comunità con la sua famiglia. La "parola-de-naro", $, prende il posto di questo atto di sostituzione.

Gli uomini o le donne che danno il proprio salario alla famiglia sono come la persona che dà il nome "maschio", il nome che privilegia il bambino e fa sì che altri diano a lui. Ma il bambino riceve il "nome" perché ha la "marca", come l'etichetta del prezzo. Quando un uomo sostiene la moglie (e la famiglia) con il salario, le sta dan-do il "nome" anche se lei non ha il "segno"; ma quando lei produrrà un figlio, la sua mancanza sarà risolta. Generando un figlio, sembrerà "meritare" il fatto che il marito condivida con lei il proprio nome-denaro.

Il rapporto tra il lavoro casalingo gratuito delle donne e il salario del marito è influenzato da questa trasposizione della definizione di genere e non è identico allo scambio. L'uomo dà alla moglie parte del proprio nomedenaro, mentre lei continua a lavorare praticando le cure gratuite, un lavoro che non viene definito attraverso il denaro né valutato quantitativamente. Il salario del marito è la parola reincarnata con la quale, nella scarsità, la moglie può comprare i mezzi per nutrire, per continuare a praticare il dare gratuito in tutte le sue varianti qualitative (in pratica è come se lei venisse resa dipendente dal-la mascolazione del marito, del suo termine di genere, per i mezzi per nutrire mentre i suoi seni sono i primi di questi mezzi. Condividendo il proprio nome denaro con la moglie, il marito denomina o categorizza (e accaparra) la pratica di cura di lei come "per lui".

Oggi tutto questo è stato rielaborato dall'accesso delle donne alla forza lavoro e dalle donne madri-single. Le stesse donne lavorano per il nome-denaro e forniscono i mezzi per curare i propri figli. Perciò è chiaro che il denaro non è altro che una "parola", un termine di genere traslato, che tutti possiamo potenzialmente acquisire; come il termine di genere, non ha una base biologica ma sociale. Guadagnare un salario dà potere alle donne, permettendo che la loro sopravvivenza sia meno incerta e dipenda meno dalla capacità di guadagno dell'uomo. L'intera economia dello scambio è, però, un prodotto della mascolazione e rende necessariamente "non abbiente" la maggior parte della popolazione. La mascolazione economica di alcune donne non risolverà i problemi generali causati dalla mascolazione psicologica ed economica della società.

(Etero)sessualità e uccisione

L'imposizione del genere e il suo esito, la sessualità eterosessuale basata sul dominio del maschio, sopraffanno la pratica di cura come modello per entrambi i sessi, accordandosi con il linguaggio che prende il posto della comunicazione materiale. Anche solo il menzionare il genere del figlio sembra dirci che quel genere (cioè la differenza o la similarità con la madre), e alla fine la sessualità, è più importante della pratica di cura; che la differenza fisiologica-culturale tra il bambino maschio e la madre è più importante della modalità nutrice della madre. Analogamente, uccidere con un simbolo dell'indice fallico, che può essere visto come (etero)sessualità trasposta, sarebbe più importante del nutrire/dare cure. L'animale o la persona si sottomette passivamente di fronte alla volontà di colui che spara.

Ma l'animale che è ucciso dall'indice fallico prevaricatore può essere poi usato per nutrire: come la donna che è dominata, sopraffatta e sulla quale il suo domina-tore può diventare parassitico. La caccia stessa è come lo scambio, perché l'oggetto, che riceve l'"indicazio-ne", viene trasformato e ricategorizzato; diventa proprietà del cacciatore, separato dalla propria volontà, come il prodotto che viene separato dal suo proprietario nello scambio (o il figlio dalla madre, per la sua definizione di genere). Poi lo sparatore uccide altri uomini (i suoi avversari) per proteggere ciò che possiede o chi lo nutre o la propria natura o i propri meccanismi di mascolazione, o per la sicurezza di tutti i meccanismi auto-similari della mascolazione che si trovano nella sua Patria.

Il dare cure post-mascolato richiede ri-conoscimento (un altro simile dello scambio). Le donne (e gli uomini meno potenti) nutrono il dominatore, e quest'ultimo lavora attraverso lo stesso meccanismo della mascolazione, nutrendo in un certo qual modo, sopraffacendo e/o "contribuendo". La coscienza maschile permette di praticare il dare post-mascolato invece del dare non-masco-lato. La "marca" è come un suffisso del caso nella sintassi linguistica, che mostra che questo è il suo ruolo (di lui). Lui ha quella "marca" (o "etichetta"), e così può dare tradizionalmente soltanto in specifici modi spersonalizzati determinati socialmente, che comportano l'alie-nazione del prodotto, del dare alla comunità, agli altri in generale, in cambio del "nome denaro" grazie al qualelui può diventare un ricevente privilegiato. È, questo, lo strano modello che il bambino deve imitare.

Anche il denaro può essere visto come un insieme di marche del caso quantitative. Come una trasformazione da attivo a passivo, l'etichetta e la "marca" maschile indicano anche che i loro portatori devono essere trattati da riceventi di doni specifici. Quindi un uomo, quante più proprietà o denaro "possiede", quante più marche quantitative del caso "possiede", tanto più controllerà e "meriterà" di ricevere.

La donna dominata rinuncia a dare sessualmente a chiunque altro che non sia il marito, e a dare materialmente a chiunque altro che non sia il marito e i figli. Lo spostamento di modalità dal dono allo scambio, dal dare mater-no al dare post-mascolato, passa a identificarsi con la mar-ca del maschio. L'icona dell'esemplare si sposta verso la prevaricazione e la mette in atto. E il pene stesso cambia, diventando eretto; non ha un'auto-similarità come la mano, una ripetizione della relazione dell'esemplare con delle unità relative, perciò deve trovare la propria identità di "uno-a-molti" all'esterno, in una relazione di competizione con i peni degli altri uomini, per la superiorità. Quindi tutti gli uomini vengono considerati "uno" in relazione al-le donne quali molte prive di "marca", e praticano la dominazione su di loro per dimostrare la propria superiorità.

Sparare

L'indice precede il pene come strumento della conoscenza sia sessuale sia non sessuale e, infatti, il pene non è necessario a nessuna identificazione. L'identificazione (dopotutto falsa) tra il pene e l'indice è stata forse ribaltata, così che l'indice appare come un pene staccato, che può essere poi trasformato in proiettile o freccia. E dirlo lo favero tanto nella mascolazione quanto nello sparare: "È un maschio!" e "bang, bang, sei morto" hanno simili effetti alienanti. Quando s'identifica qualcosa come membro di una categoria, si possono escludere le sue altre possibilità come oggetto costante individuale. Sparare è fatto a immagine della mascolazione.

Indicare il bambino, denominandolo "maschio" – quel rumore esplosivo – lo allontana dalla vita del dare. L'indice è il dito-che tira-grilletto e lo spostamento di livelli è come il meccanismo del grilletto, che è anch'esso uno spostamento di livelli, quando il dito si tira all'in-dietro per sparare con la pistola. La parola è il suono del proiettile, che denomina "l'altro".

Figura 32. La pistola è un meccanismo costruito su indici di diverse misure investiti fallicamente.

Puntiamo il dito, selezionando o indicando un oggetto esemplare; poi pronunciamo la parola, lo denominiamo, spostandoci dal non verbale al verbale. L'esplosione accompagna la contiguità dell'indice trasposto con l'og-getto che penetra. Ci spostiamo dall'icona concettuale dell'indice (più l'azione concettuale del selezionare) verso la parola (v. Fig. 32)

La penetrazione dell'altro con il proiettile-"dono" è di fatto un servizio per l'ego del "donatore"-sparatore. Sparare rafforza la logica dello scambio mentre la penetrazione violenta del corpo (e del cuore) dell'altro richiama e rinforza lo stupro. La pistola e il pene funzionano entrambi come "uno" così che il portatore possa raggiungere lo status di "uno" privilegiato.

L'arco e la freccia sono fatti per funzionare tirando la corda all'indietro, poi rilasciandola, così che l'attenzio-ne-energia venga trasferita nella freccia. Come dita coo

Figura 33. La freccia è un "uno" prevaricatore che indica l'esempla-re, uno tra i molti (E pluribus unum). Questa indicazione non è di un qualche prodotto da scambiare ma di un essere vivente da uccidere.

peranti che si ritraggono per far sì che l'indice indichi, le dita tirano all'indietro la corda dell'arco (v. Fig. 33).

Succede la stessa cosa con l'indice che preme il grilletto, rilasciando il martelletto precedentemente armato, sul proiettile indicatore. Come il trattenere e poi rilasciare la parola e/o il dito indice, la forza dei molti che sostengono l'uno viene avanti in modo esplosivo. L'ener-gia di ciò che viene trattenuto si concentra sull'indice. Forse si può tracciare un'analogia con le molte azioni che richiede la caccia – andare nel bosco, cercare la pre-da – le molte azioni cooperanti che riportano all'uccisio-ne, e concorrono a sovradeterminarla.

Quando indichiamo animali o persone con un fucile per ucciderli, dobbiamo trattenere i nostri impulsi nutritori diretti a loro, per renderli esemplari che diventeranno oggetti morti: l'animale utile come cibo o la persona che, morendo, elimina un pericolo o la competizione. Irrigidiamo la nostra volontà internamente contro l'orien-tamento verso l'altro o la pratica di cura (povero coniglio), poi li selezioniamo come cose esterne, allontanando da loro i doni della vita, rendendoli oggetti passivi. Il meccanismo interno della scelta, che allo stesso tempo mette da parte la pratica di cura, è come il meccanismo interno del fucile. Con il nostro dito indice, spingiamo indietro il grilletto-indice; il martelletto-indice cade sul proiettile-indice, facendo esplodere la sua carica e facendola procedere in avanti lungo la canna del fucile-indi-ce-fallico. Il proiettile-indice colpisce il cuore dell'ani-male o della persona, mettendo fine al suo dare interno, trasformandolo in un oggetto in nostro possesso.

L'esplosione nella camera di scoppio del fucile corrisponde all'esplosione nella camera del cuore di chi viene ucciso; e anche del cuore e della mente dell'uccisore, o forse del suo pene, dove analogamente, l'indicare e la prevaricazione fanno uscire qualcosa in modo esplosivo dall'indice-esemplare. Volontà mascolata = pene = fuci-le, e ci sono anche delle analogie economiche. Ci vuole un'esclusione interna del dare per creare un'esclusione esterna del dare dentro il corpo di un altro, attraverso i meccanismi interni del fucile, che vengono esternati in modo esplosivo.

La lancia o arco e freccia indicano e uccidono. La messa a fuoco mette sullo sfondo la vita dell'animale, dando valore non a questa, ma alla vita dell'indicatore e alla conseguente morte dell'animale. Poi la preda diventa un dono di cibo. In questo la caccia ha una stretta analogia con l'indicare per la comunicazione, perché l'a-nimale ucciso diventa condivisibile, un dono, come l'ar-gomento su cui si richiama l'attenzione. Analogamente, la morte di un nemico ucciso da coltelli, lance, fucili e missili che indicano, diventa un dono condivisibile per gli individui, le bande, l'esercito e la Patria.

Questo dono intriso di sangue, il nostro terreno comune, viene diviso in proprietà che ci appartengono e che di nuovo difendiamo l'uno dall'altro con fucili e coltelli. Interi eserciti si indicano a vicenda, con la loro tecnologia fatta a immagine e somiglianza degli indici reificati che dimostrano che sono nella categoria superiore, eliminando "l'altro". In un periodo di tensione internazionale, il paesaggio è costellato di postazioni sotterranee missilistiche e circolano ovunque carri portamissili pronti ad alzare i loro indici e a sparare le loro testate contro il nemico. Dal coltello al fucile al missile nucleare, dall'individuo armato alle forze armate, la reiterazione della definizione e la marca del "maschio" trasformano la nostra civiltà in un immenso schema a frattale che consiste di immagini autosimilari di mascolazione a diversi livelli. Lo schema si au-to-convalida e fa fluire l'energia di tutti e del pianeta nei suoi programmi, sacrificando milioni di vite umane. Malgrado i nostri sforzi per colorare e mascherare questo schema, rimane comunque un brutto quadro.

Anticamente il cacciatore si limitava a trasformare l'animale in cibo, proprietà, dono. Un circolo di attenzione comune, il circolo di cacciatori, il fuoco del consiglio, il fuoco per cucinare, accettavano il dono. L'argo-mento centrale – il fuoco, il cibo, il dono di nutrimento

– diventava l'obiettivo comune e la "cosa" rapportata auna parola, l'esemplare ripetibile. Anche i raccoglitori e gli agricoltori mettevano insieme il loro raccolto. L'argo-mento centrale veniva messo insieme con i doni del passato, gli argomenti del passato, i raccolti e i fuochi del consiglio passati, i punti di vista individuali insieme. Noi siamo gli altri ai quali i doni delle cacce e dei raccolti passati erano anche destinati, e li facciamo rivivere per la gente del passato, facendoli sopravvivere, anche se loro non lo sapevano mentre conversavano e mangiavano. E lasciamo anche dei doni per la gente del futuro.

Le generazioni sono come l'acqua che scorre lungo un pendio, che crea delle conche e poi straripa, e che continua a scorrere e crea nuove conche. L'argomento comune è un dono. In altre parole, un "extra" che arriva a noi nel presente e nel futuro è che anche altra gente del passato può farlo, sedersi in circolo insieme a noi, come noi possiamo fare con la gente del futuro. La dominazione "uno-molti" non contribuisce a un argomento centrale o dono per il futuro perché i beni che fornisce non sono condivisibili, dal momento che sono monopolizzati dall'uno o usati per costringere. I "molti" danno tutti all'"uno", non si danno a vicenda.

La pratica del dono contro la sala degli specchi

La pratica del dono viene spesso screditata come una follia perché minaccia d'interrompere la sala degli specchi a frattale. Un'attenzione comune verso gli altri rende l'au-to-similarità dell'ego inutile, irrilevante. La pratica del do-no è infatti migliorata grazie alla diversità degli altri ai quali si dà (tra le altre cose perché i loro bisogni sono diversi da quelli del donatore e perciò sono motivo di crescita e varietà, non di competizione). Visto che la modalità del dare minaccia il paradigma dello scambio economico e la sua struttura dell'ego, noi la escludiamo dalla coscienza e costringiamo le donne che la praticano, nonostante siano numerosissime, all'isolamento, nella famiglia.

In questo modo si può contare su di loro per assicurare il mantenimento di quasi tutti i bambini a prescindere dalle numerose e schiaccianti difficoltà provocate dalla scarsità. Come donatrici isolate, le madri mettono a repentaglio la propria sopravvivenza dando troppo, in modo circoscritto, senza avere la possibilità di cambiare le strutture sociali. In questo caso il "vicolo cieco" sta nel fatto che le strutture sociali non potranno essere cambiate finché la pratica del dono non sarà riconosciuta come un'alternativa percorribile, e la possibilità che essa sia realmente percorribile non verrà riconosciuta finché non cambiano le strutture sociali.

Impegnarsi in una cosa che appare impossibile è una strategia che può a volte essere usata per dimostrare l'im-portanza di questa cosa. Praticare il dare fino all'auto-di-struzione sembra però dimostrare che esso non funziona, perché annulla il donatore. Il contesto stesso della scarsità e l'isolamento dei donatori l'uno dall'altro provoca la distruzione e l'estenuazione dei donatori. Altri dovrebbero cominciare a seguire il modello del dare in tempo perché chi già lo pratica possa ricevere dagli altri, oltre a dare (anche se questo potrebbe assumere l'aspetto di uno scambio)4. Per questa e molte altre ragioni, i donatori devono riconoscere ciò che stanno facendo, denominarlo e praticarlo consapevolmente; e questo è realmente proponibile solo quando coinvolge i molti e crea un contesto, come una soluzione generale, non individuale.

Dato che la pratica del dono minaccia lo scambio, degli ostacoli che hanno un'apparenza benevola vengono messi sul suo cammino. Ad esempio, l'"umiltà" come virtù necessaria ("non te ne vantare"), impedisce ai donatori di affermarsi come modelli. Un uomo che stabilisce dei confini per proteggere la "propria" donna, sta in realtà proteggendo la propria donatrice, a suo favore, perché non dia ad altri uomini. La struttura interna del maschio mascolato orientato verso l'ego è la struttura interpersonale all'interno della coppia tradizionale. I valori della famiglia patriarcale affermano il diritto dei parassiti dominanti rispetto ai loro ospiti donatori. Il fallo come l'indice investe il maschio mascolato (o la sua coscienza o volontà egoiste) come indice, facendolo tendere verso la sopraffazione e la dominazione della pratica del dono, compreso la dominazione delle proprie motivazioni interne verso il dono. Se un altro maschio esemplare esterno "risponde indicando" verso di lui, entrambi dovranno chiaramente competere per il dominio.

L'ego è uno-molti riguardante altri elementi del sé, gli ego di altre persone, e tutti gli esemplari che possono essere scelti nel mondo. Diventa relativo ad alcuni esemplari più grandi come suoi equivalenti, come il bambino piccolo rispetto al padre. Dall'antico Egitto ai moderni Stati Uniti, grossi simboli fallici dello Stato, che personificano il padre del paese, stile monumento di Washington, impongono uno status relativo su molti esemplari altrimenti privilegiati. Tutti i cittadini di un paese possono unirsi patriotticamente l'uno con l'altro ed essere così relativi al proprio paese quale uno (rispetto ai molti altri paesi), con il capo quale loro umano esemplare nazionale.

Il culto della personalità di alcuni leader recenti, le cui immagini colossali dominano gli spazi pubblici, ne è un esempio; nei paesi comunisti, fino a poco tempo fa, i capi del movimento ritratti in fotografie gigantesche guardavano in basso verso i luoghi d'incontro delle masse. Recentemente, in occasione della morte di Kim II Sung nella Corea del Nord, la televisione mostrava la folla che si batteva il petto e piangeva disperata di fronte al-l'immensa statua del suo leader. La conservazione del corpo di Lenin nel Cremlino ha dato dell'Unione Sovietica un'immagine di costanza dell'ego-volontà mascolato, mentre l'abbattimento della sua enorme statua con il dito puntato proteso è un altro esempio che indica il punto.

Destinazione

Una differenza tra molti dei livelli auto-similari è il tempo necessario per portarli a termine. Pronunciare una frase richiede meno tempo che scambiare, così si possono anche pronunciare più frasi insieme allo stesso tempo. La mascolazione richiede anni. Noi stessi siamo degli indici; i nostri movimenti verso un obiettivo sono gesti che indica-no. Possiamo sia indicare un obiettivo sia andare fisicamente verso di esso, per toccarlo. Abbiamo orientamenti per il futuro, un obiettivo o una destinazione trasposti nel tempo dallo spazio. Possiamo anche indicare a ritroso verso lo spazio da cui proveniamo, e indietro nel tempo.

Indicare può richiedere pochissimo tempo, lo stesso che impieghiamo per sollevare un dito, oppure tanto quanto è necessario per viaggiare verso una destinazione. Ci muoviamo come l'indice quando percorriamo un cammino da un punto di decisione nel quale scegliamo i nostri obiettivi. Scegliamo un luogo verso il quale andare, che è uno tra molti. Possiamo intendere metaforicamente questo processo: come i fini che "giustificano" (o dominano) i mezzi.

Un obiettivo che viene identificato come destinazione

o punto d'arrivo può essere qualcosa di diverso dalla soddisfazione di un bisogno. La nostra motivazione a viaggiare è orientata verso l'ego o verso l'altro? Lo scam-bio sembra permetterci di fare entrambe le cose o nessuna, semplicemente aumentando l'esemplare (denaro). Le carovane viaggiavano verso destinazioni lontane per fare scambi commerciali. Il viaggio è come il fallo nel sesso, che va verso una destinazione. Il viaggio dei pionieri a Ovest, alla conquista della natura, indicava terre "vergini" dove gli uomini con i loro indici-fucili uccidevano gli uomini con gli indici-archi-e-frecce e poi s'inserivano parassiticamente, insediandosi sulle terre "libere" (free).

I cavalli, con la loro forte energia, possono sembrare indici fallici mentre galoppano verso una destinazione. Le automobili sono simili, ma in questo caso possiamo viaggiare dentro di esse insieme, indicando una destinazione, e richiamando l'attenzione sui punti di interesse nel cammino. La strada e il paesaggio vengono messi in primo piano e sullo sfondo in un flusso costante; la strada verso la quale la macchina punta e la destinazione sono argomenti centrali che si hanno in comune. Qui il meccanismo è quello del mettere in primo piano e mettere sullo sfondo. Prestiamo attenzione al primo piano e non guardiamo allo sfondo, che scorre verso il passato. Ma è il meccanismo nel suo insieme che sopraffà i processi del non-meccanismo, che noi non vediamo (lo spostamento di modalità dell'indice è una proto-tecnologia originale?).

Poi indirizziamo i nostri razzi verso la Luna per conquistarla, e piantiamo su di essa il nostro piccolo palo col pennone all'arrivo. I nostri scienziati si affannano con l'o-biettivo di creare bombe più grandi, di vincere la guerra, e di produrre un fungo nucleare che metta in evidenza il proprio carattere inequivocabilmente fallico, uccidendo centinaia di migliaia di persone nell'immediato, e milioni

o miliardi di persone a lungo termine, attraverso la radioattività (invisibile, non indicata). Con l'indice possiamo uccidere, ma per creare è necessaria l'intera mano.

Cambiare di mano

L'altro aspetto del mettere in primo piano è il mettere sullo sfondo al quale non prestiamo attenzione, ma che è ugualmente un'attività. Nell'indicare, il ritrarre le molte dita è altrettanto intenzionale e consuma altrettanta energia che estendere l'indice; eppure difficilmente lo consideriamo, forse perché ci concentriamo sulla ripetizione dello schema uno-molti tra l'indicatore e ciò che viene indicato. Ma le altre dita, ritraendosi, aiutano l'indice; ritrarre alcune dita rientra nello stesso proposito di estendere un dito. La stessa cosa accade nelle relazioni interpersonali, quando alcune persone fanno un passo indietro o cedono il passo per lasciarne avanzare altre. Può rientrare nello stesso proposito del gruppo. Tuttavia, visto che la nostra attenzione centrale va verso l'uno (o esemplare), non va verso i molti, che poi è facile dimenticare (così come gli "esemplari" mascolati dimenticano chi sta dando a loro e cedendo loro il passo).

Esistono due "molti": le molte dita che fanno parte della mano, che forse rappresentano anche delle altre cose o considerazioni interne delle quali l'indicatore non si sta occupando; e i molti all'esterno, le altre cose che non vengono indicate. Se le dita aiutano effettivamente l'indice, per analogia le cose all'esterno "aiutano" l'uno che è al centro dell'attenzione, a venire avanti, cedendo il passo o rinunciando a essere al centro dell'attenzione. Nella famiglia, le donne sono state tradizionalmente le dita escluse; all'esterno della famiglia, sono state le unità escluse. Nella rete di solidarietà maschile, gli indicatori maschi competono per la posizione dell'uno al centro dell'attenzione, così come indicano ai propri superiori in alto nella loro gerarchia.

Forse a questo contribuisce il fatto che il pene non ha altre "dita" da escludere. Le altre dita sono solo scomparse nella trasposizione ed "evoluzione" psico-so-ciale del segno dall'indice ai genitali. Se il pene è il "di-to", il corpo maschile è analogo alla mano.

Vorrei suggerire che la parola inglese man (uomo) proviene dal latino manus (mano), come il corpo-mano dal pene-indice. Wo-man (la donna) sarebbe perciò l'u-tero-mano (womb-hand), l'intera mano che crea e dà.

Considerare il punto di vista degli altri fa parte della pratica del dono. Gli uomini (e le donne) smettono generalmente di farlo quando rinunciano al dare. Allo stesso tempo, molte donne rinunciano a indicare, o a essere il punto, e assumono il punto di vista dell'indicatore dell'uo-mo, che ha bisogno di puntare e di diventare un "esemplare". Noi donne aiutiamo gli uomini. Consideriamo ciò di cui hanno bisogno e ciò che indicano perché il nostropunto di vista è stato escluso. È stato trattenuto, escluso per loro e da loro e, perciò, noi stesse ci escludiamo per mettere al centro dell'attenzione il loro lavoro e per appoggiarli nell'essere gli esemplari, che dominano su di noi. A volte arriviamo al punto di non sopportarlo più, un punto di partenza, e così prendiamo posizione dal punto di vista della pratica del dono, che può vedere se stessa.

Dare e nutrire sono attività che si praticano general-mente con le mani, e in questo caso avere o mancare del pene è irrilevante. Anche l'indicare del bebé può essere visto come la richiesta di un gesto di dono da parte della madre, un tentativo di sollecitare il suo utero-mano di donna (wo-man's womb-hand). Come hanno recentemente dimostrato gli uomini che si prendono cura dei propri figli, la mano che indica può essere trasformata in una mano che dà. Sto trattando questo punto per sollecitare il dono di tale trasformazione non solo a un livello individuale ma a un livello sociale, sistemico.

1 Infatti il risultato è il punto centrale, il sé "esemplare", l'uno. Una volta cominciato a contare, abbiamo bisogno di un contesto di "uni"; dire un "uno", due "uni" ecc., e una volta "uno" uguale "uno", richiede probabilmente la conoscenza di altri "uni", da qualche altro contesto.

2 Forse, intuendo il ruolo che ha la definizione per l'identità maschile, dipendiamo dalle parole degli uomini, sperando che ci dicano che siamo "belle", "intelligenti", "una buona moglie". In questo modo creiamo praticamente un ego auto-referenziale a loro immagine.

3 L'investitura patriarcale della posizione di esemplare investe l'esem-plare dell'ego di sopraffazione quando questo non lo farebbe da solo. Inoltre, i maschi si considerano "uni" perché stanno abbandonando la pratica del dare e l'orientamento verso l'altro, per l'auto-referenzialità. Io credo che l'esperienza dell'ego sia "ancorata" al corpo proprio come, secondo i teorici dei programmi neuro-linguistici, altri tipi di esperienza sarebbero ancorati al corpo.


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