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Capitolo tredicesimo

Il mercato e il genere

Una realtà alterata

Sto cercando di tracciare gli schemi auto-similari del patriarcato in diversi ambiti della vita per poterli riconoscere. Noi donne e altri non-abbienti potremmo pensare che se soltanto "avessimo" realizzeremmo le nostre potenzialità, diventando "uguali" agli abbienti, e quindi, pienamente umani. Perciò, aspiriamo alle ricompense del patriarcato e contribuiamo involontariamente a dare una ragione di vita al sistema. Se potessimo invece riconoscere gli schemi, potremmo usare il sistema per la sopravvivenza e al tempo stesso cambiarlo, senza dargli va-lore, senza dargli i nostri cuori (v. Fig. 18).

Il mercato è come un linguaggio che si evolve da uno stato passato a un altro stato futuro, secondo un valore quantitativo (invece che qualitativo), ed è dotato di una sola parola, il denaro. Le costrizioni su questo linguaggio derivano dal tipo di relazioni umane che deve mediare, le relazioni mutuamente esclusive della proprietà privata. Il denaro "denomina" continuamente i prodotti come valori1 ma, per la modalità dello scambio che conserva l'orientamento di tutti verso l'ego, non possono più svilupparsi nuove relazioni materiali mutuamente inclusive; gli scambiatori umani non possono evolversi pienamente come comunità.

Il mercato sembra normale, che ci sia stato "dato" perché le cose stanno così; invece è una realtà alterata.

Figura 18. Il rapporto tra prodotti e denaro, e tra cose di un tipo e una parola è auto-similare su scale molto differenti.

Auto-similarità tra il mercato e una categoria di cose

Perché mai gli esseri umani dovrebbero lasciare che il processo di denominazione stia tra coloro che hanno i beni e coloro che hanno i bisogni? Il mercato richiede continuamente la denominazione o la definizione per mezzo della parola-denaro ("questo impermeabile = 50 dollari; quest'altro = 200 dollari; questo sacco di patate = 8 dollari"). L'equazione tra prodotti e denaro, che è un momento del processo di denominazione, diventa un momento importante per la società nell'insieme; sembra essere la porta d'accesso a tutti i valori, viene usata infatti per portare alcuni prodotti nella categoria del "valo-re", lasciando che altri sembrino non avere valore per non essere vendibili, o per essere gratuiti (i doni della natura: aria, acqua, luce del sole ecc.).

La mascolazione ha dato a ognuno l'aspettativa di es-sere "elevato" o la paura di essere degradato per essere stato messo in una categoria piuttosto che in un'altra. Il momento del denominare con un termine di genere – come "John è un bambino" – o di denaro – "un etto di caffè = 3 dollari" – pone la persona o il prodotto nella categoria di coloro che hanno valore in relazione a quella parola o a quella somma di denaro. Le donne e i prodotti che non sono vendibili o che sono gratis (i donatori e i doni della natura) non appartengono alla categoria superiore. Così, il termine di genere per la donna attribuisce in partenza a una persona il valore contraddittorio di non essere nell'apprezzata categoria superiore. Es-sere messo in una categoria superiore grazie a: "… è un maschio" sembra privare i membri della categoria della loro capacità di dare nel presente, dando loro un'altra modalità attraverso qualcos'altro: parole, posizione, denaro per il quale lottare (una distrazione e una sorta di dipendenza). La denominazione di genere e lo scambio di prodotti per denaro ci fanno concentrare sul presente, ma senza riconoscere in realtà i doni e sopravvalutando l'eguagliamento e la sostituzione.

Diamo valore alle definizioni piuttosto che alle persone o alle pratiche di cura, che rimangono nascosti, nel-l'ombra. I doni danno valore al ricevente, lo scambio no, tranne che attraverso il processo del "meritare", in cui il contraccambio sembra venire dalla persona che scambia, dal suo valore, da ciò che ha prodotto fino a quel momento ecc. Come nella mascolazione (in cui i ragazzi imparano a "meritare" il nome "maschio"), la definizione prende il sopravvento e il modello del dono cede il pas-so. Il dono sociale, il nome, predomina sui doni individuali, ed essendo generale appare come qualcos'altro, come se avesse un qualche occulto potere. La posizione uno-molti, se usata come un privilegio, come un esemplare investito fallicamente di potere nel mondo reale, sostiene questo potere feticizzato del nome. Quando "guadagniamo" una qualifica professionale, possiamo chiamarci "giornalista" o "dottore"; entriamo a far parte di una categoria privilegiata. Comportandoci in modo adeguato, e imparando a mettere in pratica le specifiche competenze che abbiamo acquisito, siamo in grado di corrispondere alla definizione. Come il bambino maschio, "guadagniamo" il diritto a portare il nome e ci guadagniamo da "vivere" nell'economia dello scambio.

Un parassita auto-duplicante sull'albero della vita

A un vero meta-livello riconosceremmo la parzialità dello scambio, così come riconosceremmo la parzialità del genere maschile (e della sua definizione). Ma la pratica del dono non si riconosce da sé e neanche i donatori si riconoscono come suoi "altri" creativamente ricettivi; il meta-livello viene confuso dai diversi tipi di riflessi au-to-similari. Qualsiasi cosa che attribuisca importanza soprattutto a se stessa è necessariamente parziale, perché sminuisce il suo altro e si decontestualizza, si pone al di fuori del proprio contesto (mentre i riflessi della struttura del concetto la fanno apparire come l'unica cosa esistente). I doni richiedono la presenza di "altri" che li ricevano. Ma la gente nel sistema chiuso del patriarcato gerarchico estremo attribuisce importanza a se stessa strumentalizzando chi è "diverso" o "inferiore"; usa gli altri all'unico scopo di migliorarsi, negando la loro importanza come fonte del suo bene. Questo processo dà completamento a questi ego artificiali e facendoli sembrare auto-generati sia che siano nutriti perché lo "meritano", sia con la manipolazione o la forza, o perché l'al-tro è "inferiore", sia perché è nella sua "natura", o"istinto" o dovere dare a uno in quella posizione. "È ovvio che lei si prenda cura di lui; è il marito".

L'uomo occupa la posizione di "esemplare" o di uno, esigendo che altri si mettano in relazione con lui in quanto molti, reinstaurando il momento di confronto ed equivalenza tra unità relative ed esemplare nel processo di formazione del concetto. I molti, poi, cedono il passo e danno all'uno che prende il sopravvento, ripetendo lo schema della relazione "molti-a-uno" che c'è tra le cose e il loro nome. Questi schemi si auto-convalidano, anche grazie alla loro affinità con un meta-livello più astratto. L'"uno" umano ignora i molti e rimane da solo, fuori dal contesto, auto-riflettendosi come un'istanza di uno. Poi, pensando alla propria posizione di "uno", applica di nuovo a essa il processo del concetto; vedendosi come uno solo, è uguale a se stesso e ad altri uni soli.

Il processo si ripete e si riflette a diversi livelli. Visto che il ri-conoscimento si basa sul confronto e sull'equi-valenza, il confronto e l'equivalenza appaiono come relazioni importantissime anche sul meta-livello2. Quindi, anche riflettere sulla situazione su un meta-livello convalida il processo di formazione del concetto decontestualizzato nelle sue diverse incarnazioni. Ma l'equazione e la forma del concetto soltanto sembrano costituire l'in-tero meta-livello. Invece, sono solo un ramo dell'albero (frattale), il cui tronco è la pratica del dono. Forse potremmo dire che le loro strutture auto-similari sono un rampicante, un parassita dell'albero.

Riformulando la metafora: non è soltanto il tronco dell'albero che ha la struttura di pratica del dono. La possibilità di dare e ricevere produce infatti un albero vivente: la foglia riceve la luce del sole, la usa nella fotosintesi, distribuisce i suoi prodotti lungo tutto l'albero per soddisfare i suoi bisogni di energia, le radici ricevono e trasmettono l'umidità della pioggia, i minerali della terra e dell'humus di foglie e alberi precedenti. La disponibilità dei doni della terra, dell'acqua, dell'aria e della luce del sole permettono lo sviluppo di cose viventi che possono ricevere i doni. L'eguagliamento decontestualizzato e il concetto, le classi, lo scambio, le gerarchie e il meta-livello auto-riflettente traggono anch'essi la possibilità di esistere dai doni che gli sono dati, attraverso le radici che hanno piantato nella modalità del do-no. Questi "doni" astratti servono gli esseri viventi che si sono deformati e distorti per riceverli. L'intera società riceve questo nutrimento alterato.

Le strutture patriarcali si sviluppano in una "cultura" di pratica del dono, perché anch'esse sono in grado di ricevere in modi speciali e di ridare a esseri che si sono adattati per riceverle. La decontestualizzazione è soltanto un momento dell'astrazione usata nella formazione del concetto, è stata trasformata in una condizione permanente di isolamento di ego, che serve l'economia, la psicologia e tutte le istituzioni costruite sulla mascolazione. Il patriarcato mantiene il controllo attraverso l'in-terazione di sostegno tra diverse strutture auto-similari decontestualizzate. Il rampicante, cioè il parassita, è l'ec-cessivo sviluppo dell'eguagliamento, della struttura del concetto, delle classi, è composto di sequenze di definizioni umane organizzate in gerarchie, che succhiano i doni per alimentare gli "uni" in alto. Il patriarcato non può esistere da solo, ma si avvolge intorno all'albero della pratica umana del dono e si nutre di esso, facendo defluire i doni lontano dai bisogni, creando la scarsità che è l'ambiente necessario alla sua stessa esistenza.

Il parassita artificiale diventa credibile e si auto-con-valida ripetendo la sua stessa forma. Lo scambio, sostituendo un prodotto con un altro, sostituisce continua-mente il dono diversificato qualitativamente e orientato verso il bisogno con l'eguagliamento diversificato quantitativamente e qualitativamente semplice. Impone parte del processo del concetto, l'eguagliamento, come "realtà", mentre sostituisce la donna donatrice con il maschio esemplare. La pratica del dono orientata qualitativamente viene sostituita da un processo di denominazione quantitativo, in cui sono stati cancellati gli aspetti del dono. Questa sopraffazione è una messa in scena della mascolazione. L'eguagliamento sembra esse-re un dono, che appare "inalienabile" o forse inevitabile; in realtà, crea un'attenzione privilegiata attorno a sé e riceve importanza dagli altri attraverso i suoi riflessi.

Essere e avere

Stiamo considerando qui l'incontro psico-socio-eco-nomico tra essere e avere, nella relazione tra la parola e l'esemplare, l'esemplare e le sue unità, il padre e i suoi figli, il proprietario e le sue proprietà, anche nel senso di proprietario del corpo maschile e delle parti del corpo3. Il bambino mascolato identifica ciò che "è" in ciò che "ha" e nell'affinità tra ciò che "ha" e ciò che gli altri "hanno", invece di creare la propria identità in un processo in divenire secondo ciò che dà e riceve. Poi lascia che la relazione sia inscenata simbolicamente mentre costruisce la propria identità intorno ad altri possedimenti, molti dei quali sono simboli fallici. Visto che il fallo eretto è proprietà del maschio adulto, che è il modello del bambino, il fallo simbolico – nelle automobiline e nelle pistole giocattolo – fa privilegiare al bambino quell'ave-re nel presente immaturo.

È la relazione mutuamente esclusiva della proprietà privata che rende necessario lo scambio. La proprietà è una relazione in cui le molte cose cedono il passo e danno all'uno proprietario. Questo la rende simile alla relazione tra gli uomini come possessori delle parti del corpo, con il fallo in primo piano, e le donne che sono "mancanti" ma che danno e cedono il passo all'uno che "ha".

Le donne interiorizzano il desiderio di proprietà e la sfiducia nel dare che fanno parte del paradigma dello scambio e questa è forse una delle ragioni per cui non proponiamo il modello del dare ai nostri figli maschi. Spingiamo i nostri figli lontano dal dare verso lo (s)cam-bio di categorie e la somiglianza con i loro padri, così da essere sicure che i ragazzi avranno il giusto tipo d'iden-tità per ottenere ciò che vogliono e mantenerlo. Se seguissero il nostro modello potrebbero essere considerati "femminucce" ed esclusi dal patriarcato eterosessuale, esiliati in una terra di nessuno, dove non sarebbero né maschi né femmine. Questo strano comportamento materno esiste perché il genere è in realtà un'identità economica. Quelle che consideriamo caratteristiche "maschili" di competitività, aggressività, sublimazione delle emozioni, attenzione primaria agli obiettivi invece che al processo ecc., sono caratteristiche ricompensate dal capitalismo; e questo perché il capitalismo è un sistema economico basato sulle caratteristiche del genere maschile. Il capitalismo è la ripetizione su molti livelli dello (s)cambio di categorie provocato dalla definizione di genere e dalla negazione delle pratiche di cura.

Possedere l'"esemplare" del valore

Il patriarcato nega e scredita la pratica del dono per conservarsi. I due paradigmi restano coerenti con loro stessi: la pratica materna sembra dare via la proprietàpene e il bambino (e venire privata di entrambi) continuando però a dare, e il dare doni sembra perciò una pratica masochistica, persino auto-mutilante. Chi pratica il paradigma dello scambio sembra che stia cedendo la madre, ma ricevendo in cambio il pene, l'identità maschile superiore, e il modello dello scambio stesso. La logica dello scambio si auto-conferma, e la logica del dare doni conferma "l'altro" 4.

Figura 19. Il proprietario del denaro é un "uno" umano con il quale la proprietà é in relazione come "molti". Il denaro, l'"uno" esemplare del valore, é un'unità della proprietà, ma é in relazione, come equivalente, ai molti prodotti in scambio.

Il denaro prende il posto del proprietario come esemplare privilegiato del valore, al quale è legata la proprietà. E si ripete la stessa cosa quando un altro venditore precedente compra. Lo schema uno-molti è incarnato prima nel possesso, poi ripetutamente nella relazione uno-molti del denaro (v. Fig. 19).

Anche se lo scambio per denaro è un processo comune, in realtà è molto più strano di quanto pensiamo. Dobbiamo osservarlo attentamente, al rallentatore, per individuare le sue affinità con il linguaggio, con il processo del concetto e con la mascolazione. Una somma di denaro è infatti il valore di un prodotto specifico sul piano interpersonale – "per gli altri e quindi anche per me" – social-mente. Il denaro fa economicamente la stessa cosa che fa la parola sul piano del linguaggio. I prodotti non possono arrivare ai bisogni, tranne che attraverso lo scambio. Visto che i prodotti non possono essere dati nella co-muni-ca-zione, "se ne parla" con il denaro. Come la parola, il denaro fa da mediatore tra le persone riguardo qualcosa, e questa mediazione trasforma la loro relazione da un tipo di attitudine generale "tutto è possibile" a un'altra per cui qualcosa è pertinente nel presente, riguardo ad altre per-sone, rispetto ad alcuni bisogni. La relazione di coloro che scambiano rispetto a qualcosa diventa una relazione presente, scelta tra qualsiasi altra cosa possibile.

Il denaro prende il posto di ogni persona a turno, come "esemplare di valore" con cui il prodotto è in relazione, quando la persona cede la proprietà. Il proprietario del denaro è un "esemplare uno-molti" umano al quale l'esemplare del concetto di valore – il denaro – è legato come proprietà. In quanto venditore, ognuno lascia che il denaro di un altro prenda il posto di un'unità del proprio avere e, facendo questo, diventa proprietario del denaro. Potremmo dire che egli è "meta" rispetto al denaro, mentre il denaro è "meta" rispetto ai prodotti. In quanto compratore, egli lascia che il proprio denaro prenda il posto del prodotto di un altro, trasferendo la relazione di possesso del denaro al venditore e del prodotto a se stesso (v. Fig. 20).

La relazione (mutuamente esclusiva) di proprietà rimane

Figura 20. Il denaro è l'esemplare del concetto di valore, i proprietari sono esemplari del "complesso" della proprietà. Il denaro come esemplare ha una relazione con i prodotti uguale (o simile) a quella dei proprietari con la proprietà.

 

perciò la stessa, mentre il tipo di proprietà che si possiede è astratta in quanto denaro e concreta in quanto prodotto. La relazione di proprietà cambia i livelli dal concreto all'astratto e di nuovo al concreto, a seconda di ciò che si possiede, se un prodotto o il denaro. Questo permette che la parte effettiva di proprietà che è stata venduta venga sostituita con un'altra (o altre) che costituiscono lo stesso valore e rimangono in un certo senso la "stessa" cosa. Allo stesso tempo, la relazione del venditore diventa una relazione di possesso dell'esemplare astratto, il denaro. La relazione di possesso uno-molti si può applicare al denaro, l'esemplare del concetto unomolti stesso, come un'unità della proprietà.

Un solo tipo di sostituzione viene attuato ripetutamente, nel momento in cui il denaro viene dato continuamente ad altri come esemplare del concetto sostitutivo dei loro prodotti (un'altra affinità tra il denaro e la parola)5. Il denaro sta sempre nel ruolo concettuale di esemplare del valore del prodotto, mentre il proprietario sta sempre nel ruolo concettuale uno-molti trasposto del possesso6. Il proprietario può avere diversi ruoli uno-molti sovrapposti: può essere ad esempio un padre, un re, un papa, un consigliere comunale o un dirigente d'azienda e possedere comunque denaro; può anche non avere accesso alla posizione di "uno" nella gerarchia umana ed essere però un "uno" rispetto alle sue proprietà, soddisfacendo così il bisogno di diventare un "esemplare".

Il nesso sociale: la sessualità maschile si appropria della pratica materna

L'incarnazione del genere maschile nel padre è diver-sa dall'incarnazione del valore nel denaro, ma presentano comunque molte affinità, rispetto alla posizione dell'"uno". Il denaro prende il posto del proprietario come l'"uno" al quale le merci sono legate come valori, secondo lo schema del processo del concetto, e si può dire la stessa cosa quando il termine di genere e il padre prendono il posto della madre come esemplari per il bambino. Inoltre, il proprietario viene soppiantato come "uno" dal denaro, che funziona da esemplare-parola incarnata per il concetto di valore della merce, e la madre viene soppiantata dal padre come esemplare del concetto per il figlio. L'affinità tra gli schemi porta al ripetersi dell'alie-nazione del bambino nella categoria "maschio", attraverso l'alienazione del prodotto nella categoria del valore economico e la sostituzione del prodotto con il denaro.

La "castrazione" della madre si ripete quando il compratore cede il denaro-fallo-parola e riceve la ricompensa con i beni di nutrimento di cui ha bisogno. Chi accaparra e accumula denaro non subisce questa castrazione simbolica e, nel capitalismo, trova un modo di incrementare il denaro-fallo-parola praticamente all'infini-to. Il mercato serve da "spazio sicuro" nel quale inscenare il trauma infantile del cambiamento di categoria del bambino a causa della denominazione del suo gene-re. Questo ha l'effetto curativo di mostrare che cedere il prodotto per la vendita, trasferendolo alla categoria del valore e alla categoria del possesso di un altro, non è un processo dannoso in sé e per sé (v. Fig. 21).

Cedere il denaro comporta una castrazione simbolica che appare benigna, non dannosa per il compratore. Sfortunatamente, l'intero processo dello scambio per denaro prende il posto della pratica del dono come forma di vita della comunità. Quindi i donatori danno al processo di scambio, dandogli valore al di sopra del processo che stanno invece praticando, dando doni al processo di scambio e a chi lo pratica, allo stesso modo in cui danno validità alla mascolazione, ai propri figli e ad altri uomini. Lo scambio è un processo che, in una certa misura, allevia il peso psicologico che ha a che vedere con la mascolazione e la castrazione ma che comporta un aggravarsi del problema su altri livelli.

Figura 21. La madre-lavoratrice-proprietaria permette che il proprio
figlio-prodotto venga "denominato" dal denaro fallico e "lo" dà via.
Il compratore cede il denaro fallico esemplare-di-valore e rimane
fallicamente "mancante" ma incolume, con un valore d'uso.

Nell'ambito economico la dipendenza del bambino dalla madre è inscenata anche nella dipendenza della moglie dal marito. La moglie e i figli sembrano stare in una relazione concettuale "molti-a-uno" con il padre, simile alla relazione di proprietà del proprietario o delle cose con una parola. Lui dà loro il proprio nome. Nella famiglia tradizionale il padre sembra dare il denaro-pa-rola-fallo alla madre, che a sua volta lo dà ad altri, comprando i mezzi per dare, doni a lui e ai figli. I doni del padre sono visibili e contati, mentre quelli della madre sono invisibili e non contati.

In realtà la moglie riceve comunque il sostegno (mezzi del dare) del marito per aver dato il bambino alla sua categoria e aver ceduto il proprio posto come esemplare del concetto, diventando (in pratica) proprietà del mari-to. Spostando la convalidazione al marito e allo scambio e mascolazione, la moglie abdica dalla posizione di esemplare del paradigma del dono e al suo posto mette il paradigma dello scambio. Facendo questo riceve il "dono" del salario del marito. Anche la figlia viene data al padre, perché segue il modello di una madre che cede il passo e dà al patriarcato e al padre7. In un contesto di scarsità, i luoghi dell'economia del dono dipendono dai doni provenienti da alcuni settori del sistema dello scambio. Le donne hanno tradizionalmente ceduto tutto per mettersi in una posizione da cui poter ricevere questi doni. Adesso si sono unite al paradigma dello scam-bio come sue attrici, usando il denaro che guadagnano per sostenere e nutrire i loro figli.

Anche quando le stesse donatrici lavorano nell'eco-nomia dello scambio, spesso devono cedere i propri figli alle definizioni e ai modelli forniti dalla scuola, dalla televisione e dalla strada, vendendo la propria manodopera per sostenerli. Il modello economico della pratica materna viene ancora una volta sminuito mentre le donne lo stanno rappresentando su un altro livello, cedendo il loro tempo lavorativo in cambio di denaro con il quale provvedere ai loro figli e cedendoli perché siano educati da altri nell'economia dello scambio.

I cambiamenti economici su larga scala dell'epoca di guerra (ad esempio quelli avvenuti nella seconda guerra mondiale) portano le donne nella forza lavoro capitalista, indebolendo il legame tra attività economica e gene-re maschile, che continua a essere promosso dalla mascolazione. I cambiamenti del quadro generale hanno un effetto sul quadro locale, che cambia più lentamente. Anche se adesso molte madri sono impegnate nel lavoro monetizzato, ci si aspetta che i ruoli di genere continueranno a essere diversi. Le strutture sociali uno-molti prendono il posto del padre fallico.

I personaggi famosi del cinema e della televisione creano padri immaginari; la "parola" diventa ancora una volta astratta. La spinta verso l'equivalente generale, il denaro, produce molte cose a sua immagine e somiglianza: i programmi ci mostrano uomini dominanti unomolti, dai commissari di polizia ai padri, dai superuomini ai cantanti. Anche le star donne svolgono ruoli unomolti come oggetti sessuali, donne manager, super spie. Anche il conduttore/rice del telegiornale, in quanto uno/a parlante visibile al quale sono legati i molti ascoltatori invisibili, risponde a questo schema. Il modello di dominazione/sottomissione insieme alla gerarchia e alla competizione è visibile ovunque nella nostra industria del divertimento, nel mondo degli affari, nella politica e nel mondo accademico, e continua a offrire la mela-do-no avvelenata al piccolo principe azzurro, fornendo i modelli patriarcali nocivi che non sono più a portata di mano nelle famiglie incentrate sulla madre single8.

Anche i rapporti nelle bande di strada forniscono tal-volta personalmente i modelli (violenti) paterni uno-mol-ti, che si stanno perdendo nelle famiglie di madri single. La sessualità maschile, che si forma in base alla denominazione e allo spostamento di categorie, sopraffà la pratica materna secondo ciò che Alfred Sohn-Rether chiama il "nesso sociale"9, lo schema profondo sul quale si costruisce la società. Io credo che, nonostante le difficoltà, le famiglie incentrate sulla madre stiano cominciando a cambiare questa situazione. Troppo spesso, però, il discredito della madre single, oltre alla mancanza del padre, rende il bambino vulnerabile rispetto agli altri esemplari mascolati più negativi, nel seguire il groviglio di schemi uno-molti che compongono il patriarcato.

Inscenare la mascolazione nel mercato

Il mondo delle merci imita il mondo del patriarcato. La merce-figlio viene presentata al padre-denaro e viene trovata simile, relativa a quest'ultimo quale equivalente; gli viene dato accesso alla categoria di "altro", la categoria privilegiata delle cose che hanno un valore monetario, e viene dato via dalla madre-proprietario-produttore (col suo "travaglio") all'"altro". Il posto della madre-proprie-tario-produttore viene preso prima dal denaro, quale modello del concetto per la merce-figlio, poi dal compratore come l'uno al quale quella proprietà è legata in quanto suo proprietario. La madre-proprietario-produt-tore dà via la merce-figlio per metterlo in relazione con qualcun altro che sarà il nuovo proprietario. Poi cambia i ruoli e il padre-denaro-fallico gli/le serve come ciò a cui si rapporta il prodotto di un altro. Un'altra madre-pro-prietario-produttore sta cedendo il prodotto-figlio.

Quando il prodotto viene trovato uguale al "lui", si può portare il padre-denaro-fallico a soddisfare il bisogno comunicativo di un mezzo per (alterare) una relazione e per spostare dall'esemplare della madre a quello del padre mentre il prodotto passa dal compratore al venditore. Il venditore del momento (ruolo della madre) mette in relazione il proprio figlio-merce con il denaro (ruolo del padre), confrontandoli, trovandoli simili, appartenenti entrambi al concetto privilegiato delle cose che hanno valore. Il processo di denominazione del prodotto come valore-nello-scambio, come il processo che denomina il bambino "maschio", si appropria di un bene utile dal processo di dare-e-ricevere. Non è il bisogno dell'altro che determina lo scambio, ma la domanda effettiva. Il denaro dell'altro diventa pertinente al proprio bisogno di denaro come mezzo per alterare la relazione di proprietà di qualcun altro ancora con il loro bene utile, per soddisfare il proprio bisogno. Il meta-bisogno definitorio s'impone con la forza sul bisogno materiale.

È interessante l'uso inglese del termine labor ("lavoro", ma anche "travaglio"), come se la madre cedesse il proprio figlio appena finito il proprio labor e lui venisse "consegnato" per essere "generato" (gendered, "reso genere"), per essere messo in relazione al termine "maschio" non appena la levatrice o il dottore dice "è un maschio". La madre lo cede così velocemente, e cede la propria capacità di esemplare, a favore di… cosa? Una parola! "In principio" – appena nato – "fu la parola"; il neonato ha mai avuto altre possibilità?

Nel comprare per vendere, il padre-denaro-fallico si mette continuamente in mostra nella società, permettendo a figli-merce di entrare in relazione con lui, confermando così "se stesso" come equivalente generale. Il proprietario umano o collaboratore porta poi il figlio-merce ad altri di cui quest'ultimo soddisferà i bisogni, e per i quali il suo valore è maggiore, così che la quantità del pa-dre-denaro-fallico nelle mani del collaboratore umano au-menta. L'operatore economico s'impegna in una sorta di attività sessuale, comprando il bene non per soddisfare i suoi bisogni, ma per cederlo di nuovo e incrementare così l'ammontare del suo avere-denaro fallico.

Dal punto di vista linguistico, l'interazione dei comunicatori economici mette in gioco il "denaro-nome" per rapportare la cosa con un essere umano per mezzo della equivalente-generale-parola socialmente convalidata. La parte visibile di questo processo possiamo riscontrarla nei negozi, dove si trova la gerarchia dei prodotti con i loro prezzi dal più basso al più alto, i "figli" con le loro "marche", le loro etichette del prezzo, che ciondolano con i numeri scritti sopra a dimostrare "quanto" essi meritano il denaro-nome.

Una psicosi collettiva

Stiamo creando collettivamente la nostra realtà in modo dannoso e inutile. Non intendo dire che gli alberi e le mucche, le montagne e le macchine, i figli/e e le nonne non ci siano; voglio dire che stiamo interpretando un processo distorto, usando le immagini che esso genera di se stesso come l'insieme dei principi in base al quale organizzare la nostra vita. L'errata interpretazione di chi siamo e cosa dovremmo fare si risolve nella ricompensa per "avere" e la penalizzazione per "non avere"10. La mascolazione crea una psicosi collettiva mediante la quale i singoli competono tra di loro per essere l'uomo esemplare e interi eserciti competono tra loro per fare della propria patria la nazione esemplare.

La capacità di "sopraffazione" (sostituzione) che hanno le parole viene gonfiata per diventare dominazione, mentre il cedere il passo delle cose (che sono sostituite) diventa sottomissione. Queste attività complementari possono riscontrarsi su molti livelli diversi. La sopraffazione viene talvolta messa in atto violentemente nella famiglia come ruolo del genere mascolato, o attraverso il predominio dell'adulto sul figlio/a. Cedere il passo sembra essere il ruolo della donna (o figlio/a) che obbedisce alle parole o agli ordini dell'adulto. Nel mer-cato, il denaro prende il sopravvento e il prodotto cede il passo, mentre il processo di scambio prende il sopravvento e la pratica del dono cede il passo11.

Il patriarcato è un insieme di definizioni verticali, in cui alcuni aspetti sono auto-similari con relazioni nel mercato, dove alla verticalità delle serie subentra la progressione numerica del prezzo. Le definizioni del mercato sono molte, di breve durata e velocissime rispetto alle posizioni definizionali a lungo termine della sopraffazione e del cedere il passo, tipiche dei ruoli di comando e obbedienza, come nelle gerarchie del governo, dell'eser-cito o della Chiesa.

Anche se nelle gerarchie si compiono molti atti di sopraffazione e cedere il passo e di comando e obbedienza a breve termine, questi confluiscono per creare ruoli stabili a lungo termine. Nel mercato, la posizione "a capo" è solo una: il denaro, l'equivalente generale, mentre nelle gerarchie umane c'è una catena in cui gli uni in alto prendono il sopravvento su quelli in basso, e quelli in basso danno e cedono il passo a quelli in alto, agli uni più privilegiati.

Il momento intermedio tra il prodotto e il bisogno, che si basa sullo scambio e sull'equazione, diventa il fulcro dell'intera società, esigendo equivalenza12con il denaro per l'accesso ai beni. La definizione mascolante sopraffà le pratiche di cura e si impone come un modello ovunque.

Invece di risolvere i nostri problemi inscenando l'incarnazione della parola, abbiamo distorto la realtà, distribuendo i beni in modo psicotico a beneficio dei pochi messi a un livello quasi di onnipotenza, come nel sogno infantile. Stiamo usando la nostra capacità linguistica per denominare o definire, per trasferire il privilegio ad alcune persone invece che ad altre, rendendole "abbienti" invece che "non-abbienti". Le priorità della mascolazione hanno alterato collettivamente la realtà in modo nocivo, ma se comprendiamo, come hanno sempre detto le religioni orientali, che questa realtà è un'illusione, un incubo, possiamo ritornare a un'economia del dono che sia il vero sogno sempre presente nel quale possiamo finalmente risvegliarci, ri-creando una realtà che sia un dono per tutti.

Nonostante le posizioni strane e screditate che la pratica del dono è costretta ad assumere, essa continua a es-sere creativa e a nutrire la vita. È necessaria per dare vitalità alle attività basate sulla definizione, attività che, di per sé, sarebbero astratte e aride. Così, la negazione del dare doni prevede talvolta l'incorporazione post hoc di alcuni elementi del dono nel modello mascolato. Le religioni patriarcali lo fanno, soddisfacendo bisogni spirituali (e sminuendo al tempo stesso l'importanza del modello di pratica materna) e professando l'altruismo. Talvolta gli uomini mascolati creano bisogni che poi soddisfano. Ad esempio, un gruppo isola e svuota di potere i propri donatori femminilizzandoli o rendendoli schiavi; poi dà loro "protezione" imponendo la propria egemonia fallica su di loro e su altri gruppi maschili simili che gli potrebbero sopraffare. È il caso della potenza militare.

La buona volontà degli uomini mascolati, che ne hanno ancora molta, entra in gioco quando ormai le loro personalità sono state formate da tempo cedendo il paradigma del dono e assumendo la loro identità di gene-re. La buona volontà degli uomini stabilisce gli standard dell'"azione morale", mentre lascia da parte il paradigma che normalizzerebbe la soddisfazione dei bisogni, non solo nella vita degli individui, ma anche nelle istituzioni economiche e politiche del gruppo. Se la società nell'insieme stesse già donando e dando valore ai bisogni secondo il paradigma del dono, la moralità sarebbe una cosa ben diversa. L'eroismo individuale e la "forza della volontà" sarebbero molto meno necessari, perché il bene degli altri sarebbe già un presupposto di vita per ognuno e per il gruppo.

La definizione dalla quale la pratica del dono è stata cancellata è più ampia della definizione di genere e non coincide del tutto con essa. Visto però che sta alla base della mascolazione, entra in forte risonanza con l'identità di genere maschile. Il definiendum e la posizione equivalente nella formazione del concetto sembrano sopravvalutarsi da sé, anche se in realtà sono ricontaminati dalla definizione di genere (che hanno contribuito a creare). Perciò, il denaro, l'esemplare del valore e i modi di dominare attraverso la denominazione e la definizione, come il discorso accademico o la legge, sono sopravvalutati, ma la parte che il genere svolge in questa enfasi non è immediatamente evidente, come neanche quella della pratica del dono.

Altre categorie apparentemente di genere neutro, come quella della razza, seguono lo schema del genere, istituendo una competizione per essere l'esemplare del concetto dell'umano, prevaricando sulle altre razze, considerando inferiore chi è diverso dall'esemplare scelto. Come il gene-re, queste differenze sono considerate culturalmente come fisiologiche, mentre in realtà è la forma della definizione "caricata" dalla mascolazione a implicare che alcuni gruppi siano "superiori" ad altri, che devono poi cedere il pas-so e dare al gruppo "superiore". Possono verificarsi situazioni simili con i sistemi politici o ideologici e con i nazionalismi: chi è nato entro i confini nazionali di un paese potrebbe considerarsi superiore a chi è nato all'esterno di quei confini, anche quando non ci sono altre differenze a incidere effettivamente i corpi o le menti dei nazionalisti. L'intera nazione assume quindi la posizione (esemplare) di equivalente generale, rinforzando potenzialmente gli ego dell'intera popolazione rispetto alle altre nazioni. I sistemi politici, le religioni, i gruppi d'interesse seguono gli stessi schemi nel loro cammino verso l'egemonia.

Il profitto

La definizione può essere manipolata per la superiorità di coloro che la utilizzano in altri ambiti della vita, così come viene usata per confermare e perpetuare la superiorità degli uomini. Sembra che se siamo in relazione con ciò che occupa la posizione del definiendum economico (il denaro-parola), possiamo essere miglioridegli altri. È come se si ripetesse la situazione della nascita, mettendo continuamente una persona nella categoria superiore per una relazione con l'equivalente generale e allontanandolo dal dare. Inoltre, fornendo l'e-quivalente generale, alcuni di noi possono comprare e controllare il tempo di altri per i propri fini. Richiedere alle persone per il cui tempo forniamo l'equivalente generale anche di dare lavoro-dono (plus-lavoro) non retribuito, di cui vendiamo i prodotti, ci permette di ottenere profitti e di accumulare capitale. Se consideriamo che anche l'equivalente generale è fallico, e il capitale lo è ancora di più, possiamo capire l'aspetto sessuale del-l'investimento, del mettere il denaro "dentro" qualcosa, riprendendolo aumentato e reinvestendolo finché non ne ricaviamo un profitto.

Dovremmo renderci conto che ogni volta che "creiamo" un profitto, alcune o forse molte altre persone stan-no dando un dono. Invece, pensiamo che il nostro profit-to sia una ricompensa o che ce lo siamo guadagnato. Ma questo ripete lo schema del "meritare" dell'uomo, perché agendo in modo mascolato egli può accedere di nuovo al-la categoria privilegiata, "meritando" il nome "uomo". L'uomo viene infatti ricompensato con i doni che ha rinunciato a dare quando è entrato per la prima volta in quella categoria. Se alcune caratteristiche essenziali o primarie del genere maschile fossero messe in atto nelle nostre vite economiche, sarebbero più facili da rintracciare e identificare. Ma sia le caratteristiche di genere dell'uomo, sia le caratteristiche funzionali della nostra economia di scambio provengono da un "antenato comune", ossia la definizione grazie alla quale gli uomini sono privilegiati e al tempo stesso alienati dalle loro madri nutrici.

È come se la mente collettiva infantile del maschietto dicesse: "Perché sono un bambino, e non sono come la mia meravigliosa mamma?". La risposta, "è così e basta", diventa ciò che il bambino non può superare ma che deve seguire; ciò di cui lui, come suo padre prima di lui, seguirà il modello e che "scoprirà" poi essere le suecaratteristiche "maschili" o "umane". È come se l'essere in sé, essere uguale, essere uguale a un esemplare, essere l'esemplare ed essere la parola si fossero tutti ripiegati l'uno nell'altro come caratteristiche normali della sopraffazione maschile attraverso la categorizzazione e la denominazione. Questa situazione dolorosa viene poi proiettata sull'intera società e diventa alla fine la Le-bens-form della modalità economica dello scambio. Il "padre-esemplare" ha le stesse caratteristiche dell'essere, come le aveva suo padre prima di lui, comportando quindi, un infinito retrocedere attraverso le generazioni di "padri-esemplari". Non deve stupirci che l'identità maschile, che negando la pratica del dono è stata vista fino a poco tempo fa come l'identità umana, abbia avuto una posizione tanto prevalente nelle discussioni filosofiche. È, e continua a essere, la fonte, non di un qualche "destino superiore", ma dei nostri numerosi problemi.

L'avere di più

La spinta all'aumento può forse risalire al fatto che il membro del bambino piccolo è effettivamente molto di-verso e più piccolo di quello del padre. Se il fallo è la "marca" della categoria maschile, forse il bambino non può considerarsi veramente "uguale" e appartenente a quella categoria finché non avrà un membro più grande. Il bisogno di diventare il modello del concetto, di occupare la posizione dell'equivalente generale o della parola, implicherebbe anche il bisogno di un membro grande. Il figlio non ha certamente il potere di far sì che ciò accada, mentre lui, i fratelli, la madre e le sorelle possono essere dominati (e talvolta maltrattati) dal grande padre fallico, che in fine sta interpretando il mandato della definizione mascolante in base alla quale si è formato nell'infanzia.

Il figlio, già in competizione con il padre per la posizione di equivalente, può anche sentire il bisogno di un grande fallo e dei suoi equivalenti simbolici ed economici, per poter difendere se stesso e le donne con le quali sta ancora partecipando (fino a un certo punto) a una situazione di pratica del dono, dal padre e da altri uomini che potrebbero cercare di prendere il sopravvento. Il bambino impara a dominare, giocando a sua volta il ruolo del definiendum. Mentre il nutrimento della madre supera le differenze di dimensione fra lei e il figlio, facendo assumere a questo, ancora molto piccolo la posizione di ricevente umano (e donatore e ricevente di segni), la definizione di genere pone il figlio in netto svantaggio. Per il momento lui non può conquistare il suo mandato di genere; deve essere relativo e parte dei mol-ti, perché a quanto pare è troppo piccolo. La vera ragione, dopo tutto, è nella logica stessa della situazione: ci può essere soltanto un "uno".

Forse alla base dell'impulso alla violenza, al potere e all'avidità c'è questo desiderio di essere più grande (ave-re di più dell'equivalente fallico), per poter occupare la posizione dell'"uno" richiesta dalla definizione di gene-re. Le bambine possono entrare a far parte della competizione per essere superiori, anche se non hanno fisiologicamente il fallo e spesso mantengono almeno alcuni dei valori del dono e della pratica materna verso i quali siamo state socializzate (Gilligan et al., a cura, 1990).

Visto che il padre è spesso assente, il figlio, che è stato allontanato dal modello della pratica materna, può essere lasciato senza un modello per la propria identità (oltre alla definizione in sé) o un contenuto per la propria categoria. Aggiungiamo a questo la violenza che molti uomini grandi perpetrano su chi è più piccolo di loro, e diventa chiaro che la dimensione (o quantità) può diventare l'ossessione non solo degli individui, ma di intere culture. Un essere di un altro pianeta in visita sulla Terra rimarrebbe sicuramente sbalordito dai grattacieli sempre più alti con i quali il mondo degli affari dimostra il proprio orgoglio corporativo. Coloro che hanno uffici nelle torri d'acciaio sono senz'altro superiori a quelli che han-no uffici in edifici più piccoli e meno eretti; hanno più denaro e più potere, il che li rende più vicini al modello concettuale del padre, del maschio adulto, a cui il bambino piccolo può soltanto aspirare. E ancora, a parte ogni senso erotico, è l'erezione a essere diversa e molto più grande del membro del bambino, ed è questo che i grattacieli (le pistole, i razzi, i missili) imitano.

Tutti questi edifici sono costruiti sull'abbandono del modello di pratica materna. L'abbandono stesso è diretto non verso il bambino, ma verso coloro che mancano del fallo-parola-denaro. Chi ha bisogni è lasciato morire da chi ha i beni. Chi non ha il fallo deve pagare per aver messo il bambino in una categoria differente; deve infatti continuare invisibilmente a trasferire a lui il denarofallo come plusvalore. Paradossalmente, la pratica del dono orientata verso l'altro sembra essere ipocrita e certamente non all'altezza dello scambio come metodo di distribuzione.

Ciò che rimane nascosto in modo evidente è il defluire della ricchezza nei simboli fallici e nel capitale in infinita espansione, lontano dai bisogni dei molti. Ricchezza ed energia fluiscono dai molti agli "uni"; fluiscono anche dalla pratica del dono al mercato e al capitale, e dal "Terzo Mondo" al "Primo Mondo". L'illusione è che sia al contrario13. Come nella formazione del concetto, l'e-semplare riceve il proprio valore dall'esistenza di altre unità dello stesso tipo, ma adesso c'è un effettivo trasferimento di ricchezza da queste a lui.

La punizione per la scarsità

Questa situazione globale può anche essere vista come una rappresaglia della società contro la madre e la sua modalità di pratica del dono, per aver ceduto il figlio al padre. La vendetta è senz'altro parte dello scam-bio ed è coerente con esso. L'allontanamento dei beni dai bisogni, nelle mani di coloro che hanno sempre più fallo-parola-denaro, crea la scarsità che grava sulla pratica del dono e la scredita, rendendola impossibile o sacrificale. Continuare a praticare il dare doni, nonostante la scarsità, richiede un enorme sforzo e un senso di determinazione quasi ossessivo. Per questo le donne sono state spesso tacciate di masochismo.

Invece, il peso delle prove dovrebbe ricadere su coloro che stanno creando la scarsità e sul sistema che li crea. Le loro motivazioni sono da ricercare nel tentativo di rimediare al cambiamento della loro categoria di genere durante l'infanzia. Forse nella nostra tenerezza materna siamo inclini a capirli e a compiacerli, ma questo deve finire. Non è la giusta risposta alle conseguenze delle loro azioni e istituzioni, come la morte di milioni di persone per la guerra, la fame e le malattie e la distruzione ecologica del pianeta.

La scarsità offre diversi vantaggi al patriarcato: rende difficile il dare doni così che questa pratica non possa offrire un'alternativa visibile e percorribile allo scambio; punisce le madri e la loro modalità del dare per aver ceduto i propri figli alla categoria del padre, dando allo stesso tempo al bambino la seduzione dell'accumulare più di ogni altro l'equivalente generale. Per di più, chi riesce a diventare esemplare privilegiato può anche materializzare i propri eccessi economici priapei in simboli fallici di ogni tipo. Se i cittadini non riescono individual-mente ad accumulare di più, possono magari entrare a far parte di una qualche corporazione che ha di più, fucili, aeroplani, bombe più grandi.

Avere questa eccedenza, mentre altri non hanno abbastanza beni per sopravvivere, permette a chi ha di considerarsi superiore e di distribuire piccoli doni di carità manipolando, controllando il comportamento dei nonabbienti. La definizione mascolata è anche usata direttamente per manipolare coloro che hanno bisogno di giudizi positivi, anche questi resi scarsi: giudizi di intelligenza, bellezza, efficienza o competenza, sono spesso accompagnati da giudizi monetari, con cui si completano.

Le economie e gli ecosistemi sono stati alterati nel tentativo di accumulare grandi quantità per i pochi, sfruttando le risorse dei molti. La dimensione relativa dei possedimenti dei pochi aumenta grazie a questi mezzi. Il desiderio di sicurezza è intensificato anche attraverso la minaccia di scarsità, e può sembrare che senza un margine considerevole anche i maschi rischino di es-sere di nuovo trasferiti dalla categoria degli abbienti a quella dei non-abbienti.

Forse saremo scusate per le considerazioni tanto irriverenti sul mercato e il patriarcato. Sembra una specie di sacra rappresentazione tragicomica, in cui l'alie-nazione del bambino dalla madre nella categoria del padre viene rappresentata all'infinito. Il sintomo del nostro disordine psicologico pervade le nostre menti e il nostro tempo, impedendoci di seguire la modalità materna, mentre milioni di bambini reali di entrambi i generi soffrono la fame. Gli occhi dell'alieno extraterrestre si riempirebbero di lacrime di compassione per questa nostra specie straordinaria che si è messa tanto nei guai per ciò che, dopo tutto, comincia come un errore piccolo e innocente.

Per quanto riguarda me, caro/a lettore/rice, ululo nella notte.

Se mi capite, forse lo fate anche voi.

1 Abbiamo parlato dello scambio come definizione. Visto che esiste sol-tanto una parola materiale, il denaro, qui sto parlando della denominazione. Molte delle funzioni della definizione sono intrecciate l'una con l'altra nello scambio monetizzato.

2 La classe di tutte le classi decontestualizzate (classi estrapolate dal contesto) è una classe decontestualizzata. Tuttavia, un vero meta-punto di vista sarebbe logicamente più ampio e includerebbe la pratica del dono, includendo così il diverso (l'altro), portando alla contestualizzazione e distruggendo la classe decontestualizzata. La prospettiva patriarcale sopravvaluta le classi e sottovaluta il contesto della pratica del dono, così come la società patriarcale sopravvaluta le classi e sottovaluta il paradigma del dono. Si potrebbe obiettare che confrontare lo scambio con la pratica del dono sia come confrontare le mele con le arance. Io sostengo che queste mele esistono soltanto nel contesto delle arance, che per di più danno doni alle mele.

3 Jacques Lacan ha descritto ciò che ha chiamato la "fase dello specchio", un livello d'integrazione-dell'immagine delle parti del corpo del bambino troppo avanzato per la sua età. Io direi che è la relazione di proprietà che le integra in quanto "sue" (di lui), e che il loro fratturare la relazione con l'e-semplare maschile si riflette nello scambio. Cfr. Ragland-Sullivan (1986) e Wright (1991).

4 Inoltre le madri, che temono la competizione del padre con un figlio donatore per avere il loro affetto, potrebbero anche essere motivate a render-lo simile al padre, così che il padre non lo distrugga. Come la vera madre di Mosè, negano che il figlio sia-loro, lo danno a qualcun'altro che abbia maggiore potere, e gli restano accanto per servirlo e prendersi cura di lui.

5 Il denaro viene sostituito solo quando, dopo essere stato "investito", torna indietro accresciuto, un'altra mascolazione trasposta, forse come un bambino che nasce dalla testa di Zeus. Il capitalista è l'uno che fa sì che questo accada.

6 Il possedere è forse più simile al complesso del "nome di famiglia" di Vygotsky, che al concetto; visto che le proprietà possedute sono diverse tra loro, non hanno caratteristiche comuni eccetto quella di essere proprietà di quell'"uno".

7 La figlia può essere considerata il "bene" o il "valore d'uso", che fa di nuovo parte della modalità delle pratiche di cura dopo che il compratore ha ceduto l'equivalente fallico. Potrebbe anche essere considerata un bene che non viene scambiato, almeno finché non si sposerà.

8 La normalità dello scambio è rafforzata dal predominio del verbale sul non-verbale nella società e nell'infanzia, visto che il figlio sta imparando il linguaggio proprio nella fase edipica, durante la quale avviene la mascolazione. La possibilità di una genitalizzazione precoce nei bambini è stimolata dall'im-portanza data al linguaggio, alla denominazione e allo spostamento del bambino dalla categoria della madre a quella del padre (o in ogni caso a quella del maschio esemplare). Lo scambio economico per denaro in realtà riconsidera e rinforza la condizione edipica, come anche questo momento di genitalizzazione. L'ex-change ("scambio") è di fatto un sex-change ("cambiamento di sesso").

9 Sohn-Rethel (1970) ritiene che il nesso sociale sia l'"astrazione dello scambio" derivante dallo scambio di beni. Io credo che lo scambio di beni derivi dalla mascolazione, che è quindi alla base dell'astrazione dello scambio.

10 Anche la Bibbia dice: "A lui che ha molto sarà dato".

11 Su un altro livello dello stesso processo, lo scambio per denaro prende il sopravvento e il baratto cede il passo. Nello scambio per denaro sono coinvolti almeno questi tre strati di sopraffazione e il cedere il passo. Possiamo riscontrare che ci sono ancora perché in ogni momento possiamo ritornare allo stadio "precedente" secondo la volontà degli scambiatori. Possiamo barattare invece di scambiare per denaro, o possiamo decidere di non richiedere uno scambio e dare semplicemente il prodotto alla persona che ne ha bisogno.

12 Credo che i movimenti per il cambiamento sociale considerino troppo l'eguagliamento come criterio, perché non capiscono che il suo uso nel mer-cato lo diffonde ovunque come valido. Penso, invece, che dovremmo celebrare le diversità qualitative.

13 I "doni" del "Primo Mondo" al "Terzo Mondo" contengono scambi occulti e in realtà ritornano continuamente al "Primo Mondo". V., ad esempio, il lavoro del collettivo DAWNE e di Sen, Grown (1977); e Shiva (1989).

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