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Capitolo quindicesimo

Indicare e patriarcato

Il processo di engendering ("procreare, generare") – che in inglese significa più o meno "portare alla realtà" – è un atto di pratica del dono precedente al genere. Ildono è il bambino vivente; poi il maschio viene dato "via" perché riceve ciò che sembra un "dono" materiale, che non viene dato alle femmine, per il quale gli viene dato più valore. Il "dono" che privilegia chi lo possiede sin dall'inizio è il pene. Riesaminare lo stadio edipico di Freud dal punto di vista del paradigma del dono consentirebbe questa interpretazione. Ma il bambino, così piccolo, non è adatto a "ricevere" creativamente la propria superiorità sociale; nella sua mente devono sorgere molti dubbi in proposito, come ipotizzava Freud.

Tutte le possibilità logiche implicate in questo "do-no" e nella fonte del dono sono problematiche. Se venisse dalla madre, lei avrebbe dato ciò che non aveva, op-pure avrebbe dato il proprio; se venisse dal padre, lui avrebbe dato ciò che non ha perso. Visto che il pene è la "proprietà" che toglie il bambino alla categoria della madre donatrice, lui rinuncia a moltissimo per averlo (cede il proprio potenziale umano di pratica del dono).

Infatti è la sua continua esperienza delle pratiche di cura che dà un contenuto a qualsiasi categoria possa for-mare il bambino, inclusa la sua stessa identità. Dirgli che appartiene a una categoria non nutrice lo definisce ester-no al processo vitale che sta vivendo. Le definizioni e i modelli della mascolinità sono tentativi di dare un contenuto alla categoria di genere maschile dove, al di fuori del nutrimento, c'è ben poco contenuto. La struttura stessa della definizione e della denominazione diventa la spina dorsale dell'identità mascolata come ideale sociale.

Ci sono poi molte varianti individuali a questa storia e, fortunatamente, le cose cominciano a cambiare. Oggi, grazie al femminismo, molti uomini hanno scelto di partecipare alla cura dei figli. Donne più forti e più consapevoli, minore enfasi sulla mascolinità in alcune famiglie e nuovi modelli di un ruolo paterno che nutre, stanno cambiando l'educazione dei bambini negli USA e altrove. L'eredità della mascolazione nella società è forte, però, e continua a essere incorporata nelle strutture sociali e da lì a ritrasmettersi nella famiglia. Temi di violenza e di dominazione maschili pervadono il nostro immaginario in televisione, nel cinema e nella realtà; si continuano a perpetrare stupri, aggressioni e omicidi contro donne e bambini. Dietro un'apparenza benefica si nascondono orrori segreti: padri "perfetti" violentano e torturano i loro figli in casa; la School of the Americas addestra soldati stranieri alla tortura e al fascismo; la CIA destabilizza gli Stati con la corruzione, le torture e gli omicidi. Continuando a donare ai pochi, si continua a creare la povertà endemica, che porta alla morte di milioni di persone; si continuano a combattere guerre, devastando vite umane in tutto il pianeta; l'inquinamento a lungo termine, causato dalle grandi imprese e dalle guerre, degrada quotidianamente l'ambiente.

A parte qualche eccezione di minore mascolazione al livello individuale, l'imponente meccanismo sociale del patriarcato sta danneggiando tutti e deve essere radical-mente cambiato. È verso questo meccanismo che le donne e i loro alleati uomini che si prendono cura degli altri devono rivolgere la loro attenzione. Tutti dobbiamo capire come funziona questo meccanismo per riuscire a cambiarlo; e per capirlo dobbiamo osservarlo, anche se ciò che scopriremmo potrebbe causarci sconforto. Altrimenti, anche con tutta la buona volontà, rischiamo di ricreare le sue parti e le sue strutture. Ad esempio, anche gli uomini consapevoli potrebbero riproporre senza volerlo la relazione uno-molti impressa così profondamente nella nostra società: prendendo il posto delle donne come modello, ricreano la stessa struttura del problema; le donne, lasciando che il loro posto venga preso, fanno lo stesso.

Icona e indice1

Qualche anno fa, mentre riflettevo sulla struttura concettuale uno-molti, mi sono imbattuta nel lavoro di Tran Duc Thao (1973), un filosofo vietnamita che credeva che il linguaggio derivasse dal gesto dell'indicare. Applicandolo alle questioni di cui mi stavo occupando, ho scoperto una cosa ovvia: mi sono accorta che indicare è un gesto uno-molti, che mette in primo piano un'unità di un tipo, il dito indice, e mette allo stesso tempo sullo sfondo altre unità dello stesso tipo, le altre dita. Perciò, indicare è in realtà un'icona, una rappresentazione cinestetica, tattile e visiva della relazione tra l'esemplare e le unità relative nella formazione del concetto. Provate a indicare con l'indice, capirete cosa voglio dire.

Il gesto ha due funzioni: ci induce a selezionare qualcosa da uno sfondo fatto di altre cose, e di vederla come una cosa potenzialmente nominabile o condivisibile, come "uno" di un certo tipo di cosa. L'indice suggerisce una relazione uno-molti esterna in una sorta di proiezione "questo è qui – e là" della sua stessa immagine (v. Fig. 24). Portare qualcosa di esterno in evidenza è convalidato perché condivisibile (e comprensibile) come relazione tra un'unità e altre dello stesso tipo, e tra un'u-nità e uno sfondo. Comunque è condivisibile anche per

Figura 24. Indicare ripete come un'icona il processo del concetto e lo proietta nel mondo.

ché ognuno di noi sta dando la propria attenzione alla stessa cosa. C'è una specie di proiezione dell'icona unomolti sul mondo che sta oltre la nostra mano, come se l'unità che si stava indicando stesse rispondendo alla indicazione (pointing back). Pensavo a Dio e Adamo nella Creazione di Michelangelo (v. Fig. 25).

Questo mi ha portato anche a pensare che identifichiamo il pene con il dito indice, come se fosse un altro indice. Diamo al bambino il nome "maschio" perché ha questo indice e le donne, comprese le madri, non ce l'hanno. Diciamo che appartiene a quella categoria perché è come il padre, o ha quell'indice, come il padre. Forse un'altra ragione della supremazia fallica è che noi attribuiamo (erroneamente) le caratteristiche dell'indice al pene. Se il pene del figlio viene indicato come unità, indicato come un "indicatore", può sembrare un esemplare, già in una relazione uno-molti con altre unità dello stesso tipo.

Figura 25. Dio indica Adamo, Adamo risponde indicando.

Quello del padre è certamente diverso, ed è più grande del suo, così che, nel confronto, deve essere l'esem-plare, e quello del bambino una delle unità della serie. La relazione tra i peni diventa quindi una relazione competitiva tra indicatori o indici esemplari, quelle cose che possono indicare altri esemplari, modellando la "realtà" a propria immagine.

Se oltre a questo consideriamo che il fallo è social-mente investito di superiorità in quanto segno della categoria privilegiata del "maschio", possiamo constatare che l'affinità tra i genitali del padre e quelli del figlio ha un grande significato. Il dito indice, il pene e l'esempla-re del concetto (in particolare l'esemplare di "maschio" e dell'"Uomo" mankind sono confluiti l'uno nell'altro. Viene dato troppo valore alla somiglianza, e soprattutto alla somiglianza con il padre, perché lo strumento per selezionare gli esemplari – l'indice, che è un'icona della sua stessa attività – viene identificato con la "marca" che seleziona i maschi da uno sfondo di donne.

Figura 26. "Quella é una pesca!".

Il pene diventa così l'icona dell'indice e dell'esempla-re. Come icona dell'esemplare come tale, può generalizzarsi per essere l'icona di qualsiasi esemplare, e così l'i-cona del concetto stesso2. Mentre però tra le dita della mano c'è già una relazione uno-molti, non è così nel ca-so del pene. Il membro di un individuo è perciò in una relazione comparativa con quelli di altri maschi, e si stabilisce una competizione per essere scelto come la "mar-ca" della superiorità o per avere uno status di esemplare tra gli altri, diventando l'esemplare degli esemplari; sa-rebbe come dire: "Quale dito sarà l'indice?".

In realtà l'esemplare viene investito di superiorità in modo falso. Nell'esperimento di Vygotsky, qualsiasi membro della categoria può essere usato come "esemplare". La polarità che viene stabilita per il concetto è semplicemente funzionale alla ricerca della "caratteristica comune", e per trovarla l'esemplare deve essere simile alle altre unità, non superiore a esse.

C'è una contraddizione quando nel sesso l'uomo punta il proprio indicatore sulla "mancanza" di indica-tore della donna, e diventa più grande nell'erezione. "Avere" si identificherà quindi con l'avere il pene e l'in-dicatore, mentre "mancare" con la mancanza del pene, l'esclusione dalla categoria degli "esemplari", e (in pratica) l'incapacità di ragionare concettualmente (la mancanza dell'indicatore esemplare sembra infatti implicare che non possiamo indicare point out "esemplari")3. Entrambe le condizioni diventano erotiche per l'uomo, che deve inscenare il proprio ruolo di genere mascolato in uno scenario di sopraffazione e cedere il passo4.

Mancare l'obiettivo (Missing the point)

Se le donne sono considerate mancanti del pene indicatore, sembrerebbero allora non-verbali o pre-verbali, pre-concettuali, senza l'esemplare (corporale) del concetto, e perciò anche senza parole, mute. Ciononostante, possono essere messe in relazione con il pene come molte rispetto a uno, come nel caso di Don Giovanni, che deve indicare quante ne ha "avute". Se le donne sono pre-ver-bali, forse sono soltanto le fornitrici di una euforia dipendente, nient'altro che cose, in opposizione alla parola incarnata del padre. Il padre soppianta la madre, anche come esemplare dell'umano competente verbalmente; la madre viene persino privata della capacità di dare il linguaggio ai propri figli. Forse, come pensavano gli antichi patriarchi, la madre è proprietà del padre, il suo "bene mobile", nient'altro che una cosa che trasmette meccanicamente la cultura, un recipiente vuoto, un meccanismo che consegna la parola, la cultura, la legge del padre.

La donna può mettersi in relazione con la parola come cosa, che dando al maschio e risaltando attira l'at-tenzione, fa in modo che lui la indichi; oppure, in quanto "proprietà" dell'uomo, può farlo risaltare come cosa esemplare e "uno" privilegiato. La bellezza della donna, che fa sì che altri uomini la indichino, mette in evidenza l'uomo in quanto importante, perché "ha" lei. L'aspetto pre-verbale è importante perché fa sembrare la cura una pratica solo infantile e debole. Questa è forse una ragione dell'abuso sessuale dei bambini da parte degli uomini? Pensate a Marilyn Monroe e al suo viso da bambina.

L'eguagliamento tra il pene e il dito indice potrebbe rafforzare la nostra convinzione che gli uomini siano gli "esemplari" del concetto "umano" e che noi donne non possiamo essere "esemplari" perché non abbiamo quel-l'indicatore. Ma il pene in realtà non è un indice, e non è necessario per il pensiero concettuale. L'indice fa un lavoro migliore perché è un'icona migliore, visto che le altre unità della serie, le dita, fanno parte della stessa mano e vengono ritratte per permettere all'indice di indica-re. Quasi allo stesso modo collochiamo sullo sfondo altre unità nel contesto e altre unità della serie. E poi, l'in-dice è guidato dalla volontà.

Rendere il pene relativo ai peni di altre persone, come serie o come esemplare, pone la unità di uno in contrasto e competizione con quelle di altri al di là di lui stessi (v. Fig. 27). Visto che la situazione è la stessa anche per gli altri, e visto che c'è un mandato di genere che impone di essere l'esemplare, gli altri di quel tipo, i membri di quella classe, possono sembrare pericolosi e di voler ferire o castrare il bambino maschio, così da eli

Figura 27. Competizione tra i membri della categoria degli "1" indici.

I falli sono analoghi agli indici, ma sono in competizione per essere "uni" privilegiati tra gli uni. Anche se il pene è la marca della categoria "maschile" privilegiata, ognuno ha il mandato contraddittorio di conquistare lo status di esemplare sopraffacendo gli altri "uni". La relazione uno-molti viene inscenata nella competizione tra gli uomini, invece di essere solamente esemplificata dalle dita della stessa mano.

minarlo dalla competizione. Sembra forse essere successo proprio questo alle femmine.

I coltelli, le frecce, le pistole e altri simboli fallici che hanno a che fare con la morte hanno la capacità di eliminare coloro che competono per lo status di esemplare. Se pensiamo a come sono fatte le pistole, possiamo constatare che l'indice viene spinto all'indietro per pre-mere il grilletto, diventando per un istante una delle molte dita sullo sfondo della mano del tiratore, e permettendo alla pistola fallica con il suo indice-proiettile letale di prendere il suo posto, indicando la morte del-l'altro, pronunciando ad alta voce la "parola" che, come la denominazione di genere, pone l'altro nella categoria aliena non-comunicante e non-indicante dei morti. Mi sono sempre interrogata sul doppio significato della parola inglese arms ("braccia" ma anche "armi"). Adesso capisco che le arms sono quelle cose che terminano con indicatori mortali ma noi, nel nostro diniego, obbedienti, non cogliamo il punto (do not get the point).

Figura 28. Il saluto nazista è un chiaro esempio di braccia (o armi) falliche uno-molti.

Il saluto "heil Hitler" è forse l'apoteosi negativa della relazione tra il singolo pene esemplare ("superiore") e i molti. Hitler usava quella "marca" per manipolare il processo uno-molti, facendo di se stesso il sedicente "esemplare" della categoria "tedesco" o "ariano". Lo faceva per riunire i molti allo scopo di annientare violentemente altre categorie umane, nel tentativo di diventare l'esemplare del concetto della razza umana (v. Fig. 28)

Il pugno stretto sollevato mostra forse l'unità dei molti – ma io continuo a vederlo come un simbolo del pene. Ildito puntato è autoritario, accusatorio; ha infatti molto in comune con il pene violento, che penetra lo spazio dell'"altro" (v. Fig. 29). Potremmo invece usare semplice

Figura 29. I molti indicano all'uno indicatore, ripetendo lo schema del concetto nella dinamica di gruppo.

mente i nostri indici puntatori per mostrare che siamo tutti umani in grado di scegliere un dito tra gli altri, e di identificare uno di un tipo come esemplare esterno a noi; potremmo usarli per dimostrare che siamo uniti come specie per la nostra capacità di sapere, di sapere insieme, e di condividere le nostre percezioni e i nostri doni.

Punti simbolici

I seni sono in realtà due punti uguali tra loro che fan-no parte di una stessa persona, come le nostre due mani o due dita che indicano, che indicano entrambi qualcun altro per dare il latte. L'immagine di due puntatori donanti uguali è un archetipo potente per la società. Forse, passando per lo stadio intermedio dei nostri due indici i due punti sono stati trasposti e trasformati in punti simbolici, alcuni dei quali sono senz'altro meno benefici. Il simbolo delle corna, per molto tempo sacro, potrebbe rappresentare due peni simbolici uguali (e pericolosi) sulla testa del toro, e allo stesso modo (risolvendo infine la differenza di genere) sulla testa della mucca. Sfortunatamente, le corna puntano verso l'esterno per ferire. Le ali sugli uccelli sia maschi sia femmine potrebbero anche essere considerate trasposizioni simboliche di uguaglianza. Il becco è un altro simbolo fallico, e "uccello" in alcune lingue è un termine colloquiale per fallo.

Forse questi e altri simboli sincretici hanno contribuito ad alleviare le ansie dei bambini in passato, che potevano essere danneggiati dalla mascolazione tanto quanto lo siamo adesso. I seni delle donne puntano verso altri per nutrire, mentre i peni degli uomini mascolati puntano verso altri per cercare o imporre la loro identità; si misurano nel confronto con altri per trovare la loro uguaglianza, o la propria superiorità come "più". Diventando l'esemplare, essi penetrano per ingrandirsi, a volte per provocare piacere all'altro, ma a volte violentemente, per causare dolore, o simbolicamente sotto forma di pistole e missili, per uccidere.

Il vero dare dal "punto" è latte dal capezzolo, la prima esperienza del bambino, visiva, cinestetica e tattile (come anche gustativa e olfattiva) di portare in primo piano o mettere sullo sfondo. Il capezzolo non soltanto è erettile, ma è da lì che proviene realmente il latte. La nostra attenzione non passa per il nostro dito indice. Abbiamo inventato le penne, da cui l'inchiostro scorre per scrivere le parole, così da rendere visibili all'esterno come modelli di riferimento costanti non solo le cose esemplari, ma anche le parole esemplari5.

Il dito che indica partecipa nello stesso tempo a diverse modalità di significato: è l'"indice" prototipico ed è un'"icona" fisica del concetto uno-molti sul piano della metafora, ripetendo nel corpo umano una distinzione che viene fatta anche nel mondo esterno. Quindi il dito che indica può in realtà essere usato per toccare l'ogget-to di attenzione, stabilendo una potenziale contiguità con l'oggetto e creare così una situazione di metonimia6.

Inoltre, l'atto di ritrarre alcune dita per poterne spingere una in avanti ripete metaforicamente nella mano la situazione sociale in cui alcune persone cedono la loro posizione per permettere a un altro di essere l'esempla-re; lo servono cedendo il passo, tenendosi indietro. La combinazione e lo spostamento di modalità ha l'aspetto di un processo praticamente meccanico come quello dello scambio, e come quello della definizione, che può dare l'impressione di un'attribuzione di valore automatica attraverso la sostituzione.

Lo spostamento verso lo scambio sostituisce, però, la logica del dono nell'insieme con la logica della sostituzione. Lo spostamento dall'icona all'indice, dalla metafora alla metonimia, e dalla rappresentazione all'attua-zione del concetto con la possibilità di toccare realmente l'esemplare esterno (o incitarlo a venire avanti) non è uno spostamento completo alla logica della sostituzione. La rappresentazione iconica del concetto mediante la relazione uno-molti delle dita non sostituisce l'esemplare che indica, ma serve soltanto a metterlo in primo piano per il momento7. Aggiunge soltanto un'altra dimensione al piano della pratica del dono e della comunicazione linguistica, e spesso serve a entrambe.

Indicatori verbali e non-verbali

L'attività di centrare in primo piano e mettere sullo sfondo che accompagna l'allattare da un seno si ripete con il secondo seno, e anche continuamente nel tempo.

Forse i due punti del seno che nutrono servono da icona iniziale per il carattere comunicativo della ripetizione di suoni. I seni sono due fonti di doni materiali identificabili che sono parte del corpo della madre. Poi una delle prime parole, "mamma" viene usata per la madre nel-l'insieme e "papà" per il padre nell'insieme. Per i bebé che non vengono nutriti dal seno, i biberon possono es-sere in modo analogo iconici, sebbene non tanto poetici.

Le parole "mamma" e "papà" esistono in molte lingue, come sostiene Roman Jakobson nel famoso saggio Why "Mama" and "Papa" (1990a, cap. 19). Jakobson spiega come il bambino usi queste due consonanti per formare le sue prime parole per la facilità che ha di formarle e perché i suoni della "m" e della "n" sarebbero un'evoluzione dei suoni che emette e dei movimenti che compie mentre succhia dal seno. Secondo me la cosa più interessante di queste parole è la ripetizione dei fonemi. Questa è presente in molte delle parole che usiamo con i bambini, che per loro sono psicologicamente importanti (come bim-bo, mmh-mmh, pò-pò). Molti bambini distorcono le parole mentre imparano a parlare, creando una sillaba doppia: "car-car". Jakobson dice che la ripetizione della sillaba identifica la parola come parola tra i diversi suoni non-linguistici, e che è un'e-spressione della stessa ripetibilità.

Potremmo considerare la ripetizione dei suoni all'in-terno di una parola come un'icona della ripetibilità della parola; cioè, la parola "mamma", nelle sue istanze diverse, contiene in sé un esempio del fatto che le cose che sono suoni possono essere simili l'una all'altra e che so-no importanti per questa ragione (le cose che sono doni possono anche essere importanti per la loro ripetibilità). Tra "ma" e "ma" c'è la stessa relazione di similarità che tra la parola "mamma" e tutti gli altri casi della parola "mamma". La parola "mamma" è come una valigia che contiene due valigie, e con questo dimostra che la valigia

Figura 30. La ripetibilità interna alla parola presente è un'icona della ripetibilità della parola all'esterno. Il linguaggio funziona perché consideriamo diverse istanze della stessa parola come una singola "cosa".

Il rapporto interno alla parola "Mamma" è simile al suo rapporto ester-no a ogni altra istanza della parola "Mamma". Qualsiasi parola detta e presente è un esemplare di quel tipo di cosa che è quella combinazione fonetica ripetibile.

più grande non è unica: esistono anche altri oggetti dello stesso tipo. Come la bottiglia trovata da Alice nel paese delle meraviglie, con su scritto "bevimi", la parola "mamma" suggerisce "ripetimi" (v. Fig. 30).

Come l'indice, "mamma" e "papà" cambiano le modalità; c'è uno spostamento dall'interno della parola "mamma" verso l'esterno alle sue altre istanze. Bisogna fare un salto induttivo per considerare i diversi eventi che sono diversi casi di una parola, "una cosa" che si ri-pete; le ripetizioni interne di "mamma" e "papà" aiutano a compiere questo salto. La stessa ripetibilità di "mamma" corrisponde al senso in sviluppo del bambino di modelli di "costanza dell'oggetto", all'aspettativa che l'esperienza della madre sia ripetibile, e che lei continui a esistere in sua assenza. La parola è sempre disponibile per essere pronunciata, e la madre è disponibile in qualche posto per farne un'esperienza. C'è poi un altro spostamento dall'icona all'indice: l'icona della ripetibilità in "mamma" diventa indice della madre, e di fatto la chiama, fa sì che lei dia rilievo a quella parola e al bambino venendo lì. Il figlio diventa la destinazione della madre, la destinazione del suo "esemplare"!

Ci sono poi altri esempi dell'uso di ripetizioni: si ritrovano in molti gesti, come il dire sì o no scuotendo la testa, rendendoli simili alle prime parole del bambino. Alcune lingue usano la ripetizione di una sillaba nella parola che sta per "popolo" (come la stessa parola po-po-lo), ad esempio "shoshone" o "mau mau". È come se le parole stessero dicendo: "Questo è un gruppo di per-sone per cui la ripetizione ha un valore". C'è ripetizione anche nelle parole onomatopeiche per i suoni animali, come "bau bau" per i cani o "muu muu" per le mucche. Forse ai bambini piacciono tanto perché sembra che i piccoli degli animali stiano anch'essi pronunciando le loro prime parole.

Il carattere internamente ripetitivo, auto-referenziale, di "mamma" e "papà" fornisce una sorta di indizio, un manuale basico di istruzioni per l'apprendimento della lingua. La relazione interna della parola è iconica con la relazione esterna della parola, rispetto ai suoi altri casi, e con implicazioni riguardanti la costanza o la ripetibilità delle cose nel mondo esterno. Analogamente, il gesto d'indicare implica una relazione di cose l'una con l'altra all'esterno del gesto stesso.

Inoltre, sia le parole del bambino che il gesto dell'in-dice avvengono nel contesto di altri, così che "mamma" viene sentito e utilizzato da altri come ripetibile, e la "stessa cosa". Il gesto dell'indice funziona anche per gli altri come un'indicazione per scegliere qualcosa da uno sfondo. Via via che il bambino cresce, il fatto che ci sia una similarità di suoni ripetibile che può essere data e ricevuta per qualcosa, attira la sua attenzione su un'espe-rienza, la fa "venire avanti" (point back, "rispondere indicando"). È un'indicazione di importanza, un'attribuzio-ne di valore. L'uguaglianza dei suoni può sembrare di per sé importante, ma in realtà la sua importanza deriva dal fatto che usiamo i suoni ripetibili come doni sostituti

vi. Ai cambiamenti dal piano interno a quello esterno edall'icona all'indice per il gesto o la parola viene dato va-lore anche dal fatto che altri li usano nello stesso modo.

Il denaro ripete lo spostamento icona-indice del ditoindicante. È come il dito, in quanto è un'icona della relazione uno-molti, sebbene su un livello molto più complesso. È l'equivalente generale, l'unica merce che sta per tutte le altre8. E anche il denaro si sposta verso l'a-zione, creando contiguità nell'andare concretamente verso l'altra persona, mettendo in atto la sostituzione nel prendere il posto del suo prodotto. Anche il denaro è come la parola nella sua ripetibilità e singolarità presente; come la parola, può essere in diversi posti allo stesso tempo; ogni "denominazione" è sia una cosa sia molte. Nel momento in cui scrivo questa frase, prendo una moneta statunitense per riguardarla e leggere le parole scritte sopra: E pluribus unum (Tra i molti, uno).

Artefatti simbolici

I passaggi ad altri livelli sono significativi. Forse la loro rappresentazione concreta sono le scale, e la nostra azione onirica nel sonno REM (Rapid Eye Movement) di muovere ripetuti passi su una scala, ripete gli spostamenti di "livello". La musica fornisce il ritmo dello spostamento, dei cambiamenti di enfasi, di mettere sullo sfondo e portare in primo piano. La bacchetta del direttore d'orchestra volteggia, indica; la musica risponde. L'indice è facilmente un "segno di se stesso". Nel "dirigere", ogni volta che si muove il dito o la bacchetta, è di nuovo un esemplare che può far venire avanti un altro esemplare dallo sfondo.

L'extraterrestre potrebbe raccogliere artefatti ordinari, con i quali capire la nostra strana società: i nostri orologi sono fatti da due o tre indici che indicano unità di tempo di diverse grandezze; l'indice-coltello è aiutato da quella piccola mano con le dita di sostegno che è la forchetta; poi ci sono la falce, il forcone e la zappa, tutte variazioni sul tema; e ancora, possiamo addirittura guar-dare, attraverso l'indice, nei telescopi e nei microscopi. I simboli fallici hanno una risonanza con l'indice, ed è difficile dire quale sia l'uno e quale l'altro. Ad esempio, il "bastone" con il quale si batte il figlio è un prevaricatore fallico, e si suppone che gli indichi cosa non deve fare.

È interessante osservare il meccanismo di diversi tipi di armamenti come trasposizioni del gesto d'indicare. Ad esempio, nell'arco e la freccia, una mano serve metaforicamente da dita, tirando indietro la corda, poi facendo volare la freccia, come un indice trasposto, che indica l'esemplare nel mondo che è oltre le mani, e di fatto diventa contiguo a esso… penetrandolo, per uccidere (l'obiettivo, con il suo centro del bersaglio, sembra un seno bidimensionale che "risponde indicando a sua volta"). Premere il grilletto di una pistola riporta l'indi-ce al gruppo delle altre dita, lo mette sullo sfondo e pone in primo piano un altro indice, la canna, e un indice trasposto, il proiettile.

Nell'indicazione, selezioniamo qualcosa all'esterno, come un individuo o come uno di un tipo. Anche le dita si potrebbero guardare allo stesso modo: ciascuna individualmente o come una delle dita della mano; contando sulle dita, possiamo sollevarle una per una o additarle una per una con l'indice dell'altra mano (v. Fig. 31).

Lo spostamento al contesto

Il gesto d'indicare viene fatto talvolta risalire a un tentativo di afferrare, ma afferrare può essere considerato parte di un'interazione di dare e ricevere. Il punto di vista dell'altro come potenziale donatore o ricevente è disponibile perché noi possiamo comprendere, e l'og-getto che viene indicato diventa qualcosa che può essere

Figura 31. Contando sulle dita, indichiamo ogni dito a turno come "uno" esemplare].

potenzialmente dato o ricevuto o messo in relazione con parole che possono essere date e ricevute. L'oggetto indicato spicca, discontinuo rispetto allo sfondo, e la sua singolarità o pluralità può diventare con ogni probabilità pertinente per il gesto del donatore come anche per l'afferrare del ricevente9. Il gesto di indicare non ci fa vedere, ma ci permette di vedere ciò che vede l'altro, per analogia; mette in primo piano una cosa, rendendola più accessibile e aggiungendovi una nuova caratteristica, il suo valore interpersonale. Indicare identifica l'oggetto come un valore per gli altri e per sé, che è anche un do-no perché siamo capaci di riceverlo creativamente.

Indicare è un segno a diversi strati; è auto-affermante per la sua capacità di essere auto-referenziale. Il dito in-dice è sia una rappresentazione sia un attivo attuatore di concetti, come esemplare che indica esemplari (uni). Per questo l'indicare può sembrare il momento iniziale e la motivazione del dono, creando l'illusione che il dono sia il prodotto o la derivazione di un gesto di espressione di sé, invece che il risultato di un movimento verso i bisogni dell'altro. Ad esempio, possiamo pensare che l'auto-affermazione e i suoi prodotti siano la fonte di doni che esistono per essere "presi" attraverso la nostra auto-af-fermazione, invece di pensare che quei doni sono il risultato del lavoro, orientato verso il bisogno, di una persona o della collettività. Attribuiamo valore al momento auto-riflettente e allo spostamento di livelli nel processo di indicare di una persona10.

Il problema dell'errata identificazione della fonte, che sorge con la mascolazione, permea tutte le nostre relazioni interpersonali. Qui il trasferimento di attenzione da una modalità all'altra, dall'icona all'azione, dalla metafora alla metonimia, sembra aumentare "automaticamente" il valore d'uso che un qualcosa ha per noi. Ma in realtà l'utilità aumenta perché il gesto include gli altri su un altro piano. In questo l'indicare è simile allo scam-bio, e alla definizione oggettivata quando sembra esserci un trasferimento di significato o valore da un termine a un altro senza attori umani. Invece, nello scambio e nella definizione, chi soddisfa un bisogno materiale o comunicativo lo fa usando lo stesso tipo di cose che usano gli altri nella società per quello stesso scopo11. I gesti, le parole e il denaro come mezzi di comunicazione sono il risultato di processi che coinvolgono gli altri e sono alla base di ulteriori processi.

L'auto-similarità del proprio gesto è rinforzata dalla sua similarità con i gesti degli altri. Lo spostamento della maniera nella quale qualcosa è messa in primo piano, dall'icona all'indice, che tutt'e due hanno la struttura uno-molti, si ripete nello spostamento dalla rappresentazione all'attuazione della relazione concettuale, e dal piano personale a quello interpersonale, dove anche altri lo ripetono. Cioè, il proprio dito indice sta per e insieme agli indici di tutti gli altri; e questi, forse insieme a tutte le altre dita che non indicano (il resto delle dita delle mani) funzionano come molti rispetto a quell'uno. Questo si vede quando il fatto che anche gli altri stiano indicando viene riconosciuto. Anche ogni altra cosa che potrebbe essere indicata come argomento comune è potenzialmente legata all'argomento presente e al dito. L'auto-similarità e lo spostamento possono sembrare fonti di nuovo valore, ma il valore sorge in realtà solo perché gli altri stanno già usando l'indicare, attribuendo valore individualmente e collettivamente.

L'auto-similarità con l'indice è suggerita anche nella serialità delle parole, ognuna delle quali viene messa in primo piano per un istante nel presente, per essere poi soppiantata da un'altra e un'altra ancora (e la fine di ogni frase scritta è indicata con un punto). Ogni parola è anche in una relazione esclusiva "uno-molti" con tutte le altre parole che non sono lei; mantiene il proprio carattere distintivo in quanto opposta alle altre parole nella frase, che quando sono dette anche collaborano e si danno reciprocamente. Le relazioni esterne alla parola sono simili alle relazioni esterne al dito che indica. Gli altri dicono parole simili o fanno gesti simili, per loro volontà. Noi indichiamo qualcosa e anche gli altri possono indicarla; diciamo qualcosa, e gli altri possono usare le stesse parole, alle quali cose simili sono in rapporto.

La modalità del dono che forma la comunità non consiste primariamente nello spostamento di livelli ma nell'uso degli spostamenti, dei livelli, degli originali e/odei sostituti per la soddisfazione comune dei bisogni. È un meccanismo interessante: il meccanismo icona-indice è auto-similare con la struttura del concetto su un livello diverso, e anche la cosa indicata sembra avere la stessa struttura. Il valore del processo, tuttavia, deriva dall'ac-cesso che esso dà al gruppo. È perché gli altri indicano anche per altri che l'indicare di un individuo è significativo. La motivazione dell'indicare è anche includere l'al-tro come donatore attivo di attenzione (o valore) verso la stessa cosa, che ha l'effetto secondario di socializzare la propria attenzione.

Indicare, come anche usare una parola, crea una relazione mutuamente inclusiva con gli altri riguardante (letteralmente) qualcosa. Noi stiamo in un contesto; ci sono altri "lì fuori" che possono indicare e rispondere ai nostri gesti, dare a noi e ricevere da noi nella modalità ostensiva. Il processo comunicativo passa per un momento auto-similare e comporta un maggiore livello di collaborazione.

1 Gli studiosi di semiotica distinguono tre tipi di segni: le icone che corrispondono agli oggetti che rappresentano per isomorfismo o similarità; gli indici, che vanno incontro a una relazione di dipendenza tra il segno e il suo oggetto; i simboli, che si riferiscono ai loro oggetti attraverso regole e associazioni di idee (cfr. Malmkjaer, a cura, 1991).

2 Sebbene il suo carattere fallico venga in qualche modo mascherato, il monolito nero di 2001: Odissea nello spazio mi sembra un'icona dell'"esem-plare", e gli effetti a lungo raggio del monolito nel film sono paragonabili agli effetti prodotti dal contatto umano con i nostri processi cognitivi di formazione del concetto investiti fallicamente. Lo sviluppo di strumenti, armamenti e astronavi può essere certamente dovuto al nostro uso eccessivo di questo "esemplare" fallico del concetto. L'investitura fallica dell'"esemplare" è artificiale ed estraneo, provenendo dall'imposizione del genere attraverso la mascolazione. Possiamo immaginare una tecnologia non-competitiva, nutrice, non-fallica, basata su un esemplare influenzato dalla madre o dal seno (un disco volante?); o magari potremmo semplicemente liberarci tutti dall'investi-mento sessuale nei nostri "esemplari".

3 Avere l'indicatore, che corrisponde all'indice e può aumentare, dà una base fisica e psicologica a un'ossessione di misurazione e quantificazione e pone l'enfasi sulla questione dell'eguaglianza e dell'ineguaglianza quantitative.

4 Il piacere dell'uomo rinforza così il tipo di pensiero coinvolto nella definizione e nella definizione di genere così come viene inscenato nell'atto sessuale dominante del maschio (quest'enfasi è stata suggerita da Susan Bright). Il fatto che la sessualità non funzioni sempre allo stesso modo ci dà qualche speranza di liberarci dalla mascolazione, o perlomeno la umanizza.

5 Si può considerare in effetti che la distinzione fra type e token tanto cara a linguisti e filosofi derivi dal fatto che ogni parola formulata nel presente è un "esemplare" delle parole assenti dello stesso tipo. Inoltre, ogni volta che guardiamo una parola scritta essa è un "esemplare" che rimane costante all'esterno. Perciò, (come l'indice o il fallo) il token – giustamente solo uno dei molti – sarebbe già un "esemplare", e noi lo prenderemmo come rappresentante di un gruppo o tipo astratto. Poi generalizziamo ad altre cose che, per la loro materialità, possono in realtà essere presenti come unità relative insieme all'unità scelta come equivalente ed "esemplare". Quindi il tipo (poiché stiamo vedendo tutti i casi come esemplari) sembra una categoria astratta, che possiamo attribuire a un qualche schema o attività cerebrale (anche in questo caso spostando i livelli).

6 Il piano della metafora funziona secondo la somiglianza e la sostituzione, mentre il piano della metonimia funziona mediante la contiguità (servendo come contesto per qualcos'altro). Vedi il discorso di Roman Jakobson su questa distinzione basica (1990a).

7 L'indice è "uno", come il denaro, che "indica" (points at) ogni cosa come una di un tipo e le dà il prezzo di mercato di quel tipo.

8 Il denaro altera la neutralità dell'equazione tra se stesso e le merci perché è uno standard costante. Analogamente, neanche l'eguaglianza tra uomini e donne è neutra, perché gli uomini sono lo standard.

9 Quando confrontiamo la nostra realtà condivisa con ciò che può essere visto con gli strumenti della tecnologia, possiamo vedere che gli atomi non sono doni ma insiemi di punti. Risistemare gli atomi con la nanotecnologia può creare una condizione di abbondanza grazie alla quale ogni bisogno può essere soddisfatto senza sforzo da tutti; dare doni materiali diventerebbe tanto facile quanto comunicare per mezzo del linguaggio. Sfortunatamente, i bisogni artificiali creati dalla mascolazione rendono estremamente pericolosa la facile manipolazione degli atomi. Le armi che soddisfano i bisogni di mascolazione potrebbero essere prodotte tanto facilmente quanto il pane. Nel saggio Nano, The Emerging Science of Nanotechnology (Regis 1995) vengono descritti gli usi mascolati individuali: "ci sarebbero corpi umani giganteschi, umanoidi a quattro ruote motrici con i loro muscoli pompati, con i loro peni smisurati, e Dio solo sa cos'altro". È necessaria un'economia del dono basata sulla donna per un uso umano della nanotecnologia.

10 Per analogia potremmo credere che l'atto sessuale maschile, con i suoi spostamenti di livello, il suo mettere in primo piano e sullo sfondo, sia all'ori-gine dei bambini, che sarebbero semplicemente la conseguenza del processo maschile di "auto-affermazione".


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