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Capitolo diciottesimo

Gli agenti non mascolati del cambiamento

Le donne danno gratuitamente ai figli dai propri seni (e in infiniti altri modi), però, dal momento che viene data eccessiva importanza al pene, noi donne veniamo considerate donatrici per una "mancanza" della "mar-ca"; e visto che la scarsità è stata creata per privilegiare l'avere, noi donne in realtà diamo in un ambito economico di mancanza. Tutto questo è aggravato dal fatto che gli uomini rinunciano all'economia del dono. Lo scambio "dà" il dono del non-dare, mentre il seno rappresenta concretamente il dono del dare.

Possiamo immaginare i seni come il modello originario dell'indice: il capezzolo è l'indice e la bocca del neonato è l'"oggetto" che viene scelto tra tanti e richiamato alla nostra attenzione. Quindi i "punti" di vista vengono ribaltati: per il neonato, la propria bocca è al centro del-l'attenzione e il capezzolo è l'"oggetto" scelto tra gli altri; poi l'"oggetto", in effetti, risponde indicando, e dà il latte. Oppure, per la madre, se l'"oggetto" non sta puntando indietro con la bocca e la lingua, almeno "coglie il punto" e riceve il latte.

Proviamo a considerare l'avere come avere i seni, avere qualcosa da dare1. Noi siamo mammifere. Anche se i maschi hanno dei seni piccoli, ci sono sicuramente molti modi in cui loro e le donne che non stanno allattando possono nutrire/dare cure agli altri (in realtà il pene viene "dato" a un'altra persona solo quando il bambino diventa adulto, ma, alla vista e al confronto, viene dato molto prima).

Questi modi sono stati male interpretati, nascosti e mascherati attraverso il discredito e l'isolamento della pratica materna sin dall'infanzia, e attraverso l'attenzione primaria che il patriarcato dà all'esemplare, allo scambio, al riflesso, all'avere e tenere. Le modalità del dare includono, tra le altre cose, il linguaggio, la soluzione dei problemi e la produzione di beni e servizi come un provvedere ai bisogni senza l'intermediazione del meccanismo del-lo scambio, derivato dalla mascolazione. "Avere" è anche avere le mani, gli strumenti che possono essere usati per dare e per dare cure. Le mani non servono solo a fabbricare utensili (o, peggio ancora, a fabbricare armi).

L'auto-duplicazione dell'esemplare

Il dono che il padre sembra dare al figlio (il dono del pene) è il dono dell'affinità o dell'uguaglianza, ed è il va-lore che viene dato all'uguaglianza, all'equazione in sé, al figlio in quanto uguale al padre che è la norma nonnutrice a sua volta legata analogamente al nonno. È un dono carico di significato, perché l'uso psicologico che se ne fa nella società, l'errata interpretazione che gli vie-ne attribuita, crea un bisogno artificiale. Per questo il figlio deve cercare di soddisfare quel bisogno diventando come il padre. Anche il padre ha bisogno che il figlio sia simile a lui, così da poter raggiungere la posizione di esemplare, il proprio mandato di genere che lo rende un equivalente rispetto al quale non solo ogni donna ma anche gli altri maschi (più piccoli) sono relativi.

Nel patriarcato, il padre deve dimostrare che si è riprodotto da solo. Deve dimostrare che, grazie al pene indiceesemplare, ed essendo lui stesso l'esemplare del maschio, ha anche il potere creativo di fare altri a sua immagine (dimostrando che il potere creativo non è tutto nell'esem-plare materno, che lui ha offuscato). Alla base dell'osses-sione degli uomini per la paternità non c'è quindi solo la relazione di possesso ma anche l'adempienza al mandato della forma del concetto come realizzazione della propria identità di individuo, di genere e di specie. Sebbene funzioni così da generazioni, questa "logica" contribuisce a creare una prospettiva completamente falsa2.

Mi sembra probabile che la sovrapposizione delle diverse incarnazioni uno-molti del concetto l'una sull'altra sia stata come un dott. Frankenstein che ha creato il mostro bianco del patriarcato. Nelle società in cui la funzione educativa del padre spetta al fratello della madre, il fallo non ha bisogno di essere enfatizzato come esemplare che di fatto "crea" il bambino. In queste società la trasmissione della cultura attraverso l'insegnamento e la disciplina viene distinta dalla sessualità; colui che svolge un ruolo disciplinare (il fratello della madre) non ha bisogno che il bambino sia come lui. In queste società sembra ci sia poca violenza e che lo stupro sia praticamente sconosciuto (Watson - Franke 1993).

I maschi, come le femmine, hanno bisogno di restare nella modalità del dare e ricevere, così che le loro identità possano formarsi attraverso la co-muni-cazione materiale e segnica, creando una soggettività costruita su un'interazione in continuo mutare di nutrimento/cure con gli altri (un'interazione che implica anche il prendersi reciprocamente a modello l'uno dell'altro e fare a turno), invece che sul mandato artificiale e assurda di raggiungere l'astratta posizione di uguaglianza con l'esem-plare. A peggiorare le cose, questa posizione di uguaglianza ha nascosti in sé in modo contraddittorio due livelli di superiorità (di ineguaglianza): una categoria superiore di chi è diverso dai donatori e uguale all'esemplare (e che potrebbe, perciò, diventare lui stesso esemplare), e un'altra di chi è superiore perché è già esemplare. Il mandato crea competizione laddove non sarebbe necessario, e fa sì che metà dell'umanità convalidi come modalità di comportamento il dominio e la sopraffazione.

Poiché s'impone come norma, questa modalità si estende dunque all'intera umanità, portando chi ha altri valori a essere subordinato, invisibile e non abbastanza umano. Essa pone le persone "uguali" in una categoria e che sembra conferire ai "membri" il diritto di farsi dare dagli altri attraverso l'uso della violenza e/o le gerarchie organizzate, l'esercito o la polizia. Riapplicando a questa situazione la stessa logica del concetto (che richiede una relazione "uno-a-molti" per sviluppare generalità), scopriamo che ciò che più si confà a questa logica non è la felicità degli esseri umani, bensì il fatto che poche persone siano gli esemplari generali per le loro diverse categorie; e questo significa, ovviamente, che i molti non diventano "esemplari". Abbiamo così, ad esempio, molte persone organizzate in gruppi nazionali, ognuno dei quali ha delle gerarchie interne guidate da pochi uomini, con un uomo alla testa.

Considerando i principi della forma del concetto come logica della specie e coloro che hanno successo in es-so come gli esemplari della specie (dimenticando che le donne fanno le cose in modo diverso), il dominio, la sopraffazione e il tentativo di incarnare l'esemplare del concetto e l'esemplare della specie diventano le forme di comportamento convalidate.

Purtroppo, le donne hanno alimentato questo stato di cose e gli sforzi dei figli e dei mariti che vogliono riuscirci. Adesso, anche noi abbiamo cominciato a prenderviparte. Fortunatamente, la nostra "mancanza" del pene ha dimostrato, ancora una volta, che esso non è l'esem-plare della specie e che non è indispensabile per riuscire nel sistema. Pur avendo probabilmente reso sospetta la superiorità maschile, tale fatto non ha smantellato il mandato e la sua logica ma li ha semplicemente spostati ad altre categorie. Adesso, ad esempio, tutti gli abitanti dei paesi privilegiati possono considerarsi loro stessi privilegiati, o "esemplari", rispetto agli abitanti di altri paesi che "dovrebbero" per questo dare loro e servirli. Tutte le persone che appartengono a una stessa razza, sia maschi sia femmine, possono considerarsi superiori rispetto ad altre razze e possono "dimostrarlo" dominando altre razze (e facendosi dare da queste, che assumono così i compiti di nutrimento/cure "femminili").

Sebbene tutto questo possa sfociare in comportamenti orribili e vergognosi degli individui di un gruppo contro altri, questi stessi comportamenti adempiono a un mandato maschile considerato per secoli "umano" dall'Occi-dente e da molte altre società. Si tratta perciò di un sistema basato su una falsa logica, e questa, non gli individui, deve essere ritenuta la responsabile; è il sistema che deve essere smantellato. Cambiare gli individui senza cambiare la logica e i principi non fa altro che ricreare lo spazio perché altri individui seguano ancora la stessa logica e principi. Come dice un vecchio detto: "Pur dando a tutti le stesse opportunità in partenza, solo alcuni arriveranno comunque in alto". Questo vuol dire soltanto che, finché non individueremo la malattia e non la cureremo, alcuni individui continueranno a inscenare quei principi a detrimento di altri che non hanno la "spinta" o l'"ambizione" (leggi: "che non sentono il bisogno di diventare esemplari"). La malattia è una sorta di "virus" auto-duplicante (che deriva forse da vir, la parola latina per "uomo").

Le "marche" dominatrici

Un esempio di imposizione di un gruppo come esemplare su altri è l'invasione europea delle Americhe. La superiorità tecnologica degli europei non fu la sola causa che portò al genocidio delle popolazioni native, bensì il fatto che gli europei fossero portatori della mascolazione a diversi livelli: misoginia, proprietà privata, linguaggio, economia, religione, filosofia, educazione dei figli, legge, architettura, agricoltura ecc. erano tutte cose molto diverse presso le culture locali. Sarebbe anche potuta andare diversamente: gli europei avrebbero potuto imparare dai popoli nativi invece di distruggerli.

Dopo essersi imposti come categoria "superiore" rispetto a un intero emisfero, i nostri antenati acquisirono anche la proprietà uno-molti di altri esseri umani come schiavi, costringendoli a dare i doni che servivano al loro profitto e consentivano l'accumulazione del capitale dei proprietari di schiavi. La categoria dei "superiori" deve essere facilmente identificabile da moltissime per-sone; questa è stata la funzione principale del pene nella categorizzazione. E la pelle bianca ha lo stesso scopo: in entrambi i casi, la "marca" della "superiorità" inverte il ruolo della madre, facendo sembrare l'anormalità una norma e il donatore inferiore e anormale. Se la mascolazione e lo scambio non fossero una modalità di vita nella società, questa dinamica non esisterebbe.

Gli europei ipermascolati uccisero e ridussero in schiavitù la popolazione meno mascolata nelle Americhe e in Africa, "dimostrando" così di trovarsi in una categoria "superiore" (più maschile), che era la norma e consentiva la loro simbolica e infinita crescita fallica, mascolandoli in una classe ancora più alta della categoria "superiore". Anche avere molti soldi permetteva loro di comprare, produrre e costruire oggetti con i quali potevano venire ancora identificati come appartenenti alla categoria "superiore", i privilegiati tra i privilegiati. Case, veicoli, gioielli, vestiti, grattacieli, pistole, educazione, viaggi: tutto ciò può essere acquistato ed è prova macroscopica e percettivamente evidente dell'"avere", che continua a collocare gli "aventi" nella categoria privilegiata.

Io credo che i paesi del cosiddetto "Primo Mondo" siano diventati oggi le "categorie superiori", identificabili per la loro collocazione fisica e i documenti di cittadinanza, e che questi stiano costringendo i paesi del "Terzo Mondo" a dare loro mediante meccanismi politici, culturali ed economici che risultano generalmente invisibili agli occhi dei cittadini. Lo sfruttamento che è in atto potrebbe rimanere ancora invisibile se non fosse per gli enormi flussi di immigranti che tentano saggiamente di collocarsi nella categoria geograficamente privilegiata. Corriamo il rischio, attraverso i meccanismi del "libero mercato", di incrementare lo schema dei paesi dominanti-maschili e dei paesi donanti-femminili, che si svilupperebbe, infine, in paesi schiavi e paesi di padroni di schiavi. Sulla terra è sancita a grandi lettere la mascolazione (e mi ha sempre meravigliato l'adeguatezza del nome di Castro).

L'esistenza quantificata

Il tendere verso l'altro delle madri ci dà, tra le altre cose, corpi, linguaggio e socializzazione verso i nostri ruoli di genere. Noi, però, siamo motivati dalla possibilità di ricevere di più attraverso la definizione come è successo attraverso possibilità di essere denominati "maschio". Coloro che accumulano profitto trasformano gli altri nelle loro madri mascolanti; si fanno dare dagli altri, dimostrando di "meritare" il profitto proprio perché danno loro in modo limitato e li usano come mezzi.

Forse è anche per l'aspetto che il denaro ha di essere una "parola" unica, singolare, e per la mancanza di accesso al sistema di una langue diversa qualitativamente (e quindi per la nostra incapacità di esplorare la varietà dei valori pronunciabili nella loro relazione reciproca), che il denaro e il valore di scambio mantengono la propria egemonia sociale, comparendo e scomparendo molto rapidamente, nel passare di mano all'interno del processo di scambio. La cosa che significa la parola materia-le "denaro" è il prodotto (il potenziale dono) sottoposto allo spostamento, della sostituzione della logica (e l'atto) della sostituzione per la logica (e l'atto) del dare, cioè lo scambio. Il valore-nella-comunicazione di quel significato è il valore di scambio, espresso in una specifica quantità di denaro. Sebbene una langue non sia presente a questo livello materiale per mantenere un complesso di valori-mediatori diversi qualitativamente, l'auto-simila-rità della sostituzione del prodotto con il denaro e del dare con la logica dello scambio crea un meccanismo auto-convalidante che mette continuamente in evidenza lo scambio nascondendo la pratica del dono3.

Il capitalismo unisce mascolazione e scambio, dando a ognuno di essi un nuovo obiettivo. Per la mascolinità, il nuovo obiettivo è accumulare ricchezza fallicamente; per lo scambio, è ripetere continuamente il processo della mascolazione, quindi accumulare e avere "di più", meritare un "nome" equivalente quantitativo o mascolante ancora più grande e porre il proprietario nella categoria a cui vengono dati sempre più doni gratuiti non visti.

L'esistenza è identificata con la mascolazione, e così diventa quantificabile: questo dà alla gente uno stimolo ad avere di più, per poter essere qualcosa in più. Il potere e la potenza sono immersi in una spirale negativa tendente verso l'alto, per la quale alcuni uomini (e donne) "di successo" possono diventare più mascolati di altri – esistere di più – avendo più "valore" quantitativo. Questi individui sembrano, perciò, meritare maggiormente di esistere, la qual cosa permette alla classe alta di auto-convali-darsi e di giudicare chi viene da loro sfruttato come "meno meritevole di esistere", o forse già "meno esistente".

Il pensiero viene posto alla base dell'identità competitiva autoritaria (dello scambio). La capacità di attuare le definizioni e le sostituzioni è un processo ripetibile riconoscibile, che fornisce una costanza interna (io = io) e si concentra sull'ambito di esclusione mutua necessario alla proprietà privata e al successo della competizione e dell'attività orientata verso l'ego (con i processi continui e variati del dare e ricevere doni si creerebbe invece un'identità interiore positiva). Lo scambio strumentalizza la soddisfazione dei bisogni altrui per la soddisfazione dei propri e viene continuamente supervalutato rispetto al dare. Chi ha la volontà impegnata nell'avere (e nell'avere più degli altri) sembra essere pensante e razionale, mentre chi continua a praticare il dare derivando da questo la propria identità, sembra "irrazionale".

Il capitale è la volontà mascolata

Il capitalismo è mascolazione per accumulazione. È meno sessista della definizione di genere perché permette ad alcune donne di essere "aventi" (persino "aventi che si sono fatte da sé"). Tuttavia, anche le donne di successo sembrano ancora esistere – e meritare di esistere – meno degli uomini mascolati. Il loro maggiore contatto con le (emozioni, che potremmo definire come la presentazione interiore dei bisogni), pone le donne parzialmente al di fuori della razionalità del capitalismo. Le emozioni sembrano perciò la "ragione" per cui le donne (e gli uomini) che hanno emozioni mal si adattano all'e-conomia dello scambio.

In una situazione in cui gli esseri umani sono competitivi e dominanti nella comunità, e si usano reciprocamente come mezzi, l'e-mozione umana è solo un accenno di ciò che sarebbe stato possibile al di fuori delle "ragioni" (ratios) auto-similari. È la nostra emozione ir-ra-zio-nale che continua a fuoriuscire verso i bisogni degli altri, anche quando siamo bloccati, tagliati fuori dalle azioni che potrebbero rispondere ai bisogni. Forse noi donne continuiamo a provare queste sensazioni più degli uomini mascolati perché ancora pratichiamo il dare. Sono modi di tracciare il cammino verso un mondo migliore. La gioia è la celebrazione dei bisogni soddisfatti, la danza divinamente scandita dell'anima libera dalla gabbia dello scambio, che vive infine in armonia con se stessa e con gli altri.

Dal danno che è la creazione violenta di nuovi bisogni scaturisce la rabbia, e le forti emozioni si oppongono all'ingiustizia che è danno istituzionalizzato.

La questione della giustizia è strettamente legata al bisogno di definire alcuni tipi di azioni in quanto dannose.È il fallimento di queste definizioni a influenzare il comportamento che stimola la rabbia e la volontà di vendicare chi è stato danneggiato. È invece possibile promuovere tali definizioni senza la rappresaglia, che fa parte del paradigma dello scambio, e prevenire i crimini soddisfacendo i bisogni che li provocano prima ancora che l'impulso a commetterli abbia avuto la possibilità di svilupparsi. Ma una soluzione di questo tipo è impossibile a causa della scarsità necessaria al paradigma dello scambio e per via delle evidenti ingiustizie che restano non definite e sembrano ormai far parte di un sistema immutabile.

Il capitale è l'ego mascolato; è attribuzione di valore incarnato nello spostamento verso lo scambio, volontà mascolata, che dirige l'energia verso l'accumulazione di maggiore ricchezza e potere; è il desiderio e la capacità di essere di più. Più denaro è, infatti, più essere e più capacità di sostituire, di prendere-il-posto-di. Il "libero arbitrio" del capitale, come il libero mercato, non è realmente libero; è rivolto alla sopravvivenza e alla supremazia di se stesso, secondo il mandato della mascolazione. In altre parole, non è libero di praticare il dare e il nutrire/dare cure (poiché vorrebbe dire contraddirsi, praticare il masochismo, non creare la scarsità per gli altri, non accrescere la propria abbondanza). La pratica del dono è inadeguata ai suoi scopi. Alla pratica del dono non viene dato valore perché il valore, per lo scambio, è rinchiuso nella sua stessa auto-similarità e non riconoscere il dare permette di occultare lo sfruttamento oppressivo dello scambio "equo".

Il libero mercato e il libero arbitrio capitalistico sono ossimori, se si considera il termine "libero" (free) come "gratis" (free) (anche andare a fare le compere è un lavoro gratis, anche se non riconosciuto: è il lavoro della "libera" scelta. Non siamo liberi se non compriamo e non scegliamo, perché non mangeremmo. Se non avessimo denaro, non saremmo liberi di comprare e di scegliere; non "meriteremmo" di essere). Ma anche leggendo "libero" come "libero da obblighi", il mercato e la volontà sarebbero liberi per chi li pratica al prezzo di costrizioni maggiori per le loro vittime. Gli esecutori del libero mercato e del libero arbitrio capitalistico sono liberi dall'"orientamento verso l'altro", dall'impegno di servire i bisogni degli altri, e devono esserlo se vogliono avere successo. Alcune delle nostre multinazionali sono persino più mascolate dei nostri singoli figli (maschi).

Ciò che consideriamo l'etica del libero arbitrio non è altro che la possibilità dei singoli ego mascolati di scegliere secondo valori più "altruistici" in contraddizione con la loro socializzazione al potere, o che permetta loro di limitarsi alle equazioni di "giustizia" (mentre quasi tutte le donne scelgono già con una "voce differente"). Valendosi della capacità di dare cure che hanno accantonato, gli uomini contraddicono le loro volontà mascolate di dominio e di essere "più", accettando le "costrizioni" dell'orientamento verso l'altro.

Nello stesso tempo, chi è stato socializzato a cure è libero d'imitare i modi mascolati, adattandosi a una società malata; può sviluppare un ego dello scambio lavorando nell'ambito delle proiezioni sociali della mascolazione, come il mercato, sposando i valori del patriarcato. Le donne continuano però a essere socializzate diversamente, verso il dono; e per questo sono sempre potenzialmente in una posizione di malattia/disagio (dis-ease) all'interno del sistema, e in conflitto interiore con loro stesse.

Le donne tendono inoltre a scegliere l'"umiltà", criticandosi per una mascolazione che per loro non funziona, cercando di sbarazzarsi di un difetto che in realtà non hanno. Esse criticano la mascolazione come se fosse una loro parte, invece di riconoscerla come, al limite, l'interiorizzazione di uno schema auto-similare maschile (rispetto al quale non sono "uguali") e della società nel-l'insieme. Le donne affollano così le chiese, le sedute terapeutiche e i gruppi di sostegno collettivo, ispezionando le loro anime in cerca di qualche traccia di arroganza

o mania di potere, mentre in realtà non sono altro che le vittime del comportamento mascolato di mariti, capi, scuole, università, uffici, governi e altre istituzioni patriarcali. Pur creando una comunità e dei valori comuni, quasi tutti gli approcci "curativi" continuano a nascondere i valori del dare che gli danno vita, al riparo dalla cortina fumogena dei valori mascolati di autonomia, responsabilità, colpa e punizione individuali.

Se guardiamo al capitale come volontà mascolata, possiamo vederlo libero di acquisire potere, di "essere di più" a discapito di altri per un'infinita accumulazione. Praticare la filantropia permette al capitalista di effettuare la "libera" scelta dell'"orientamento verso l'al-tro" nel contesto di ciò che già esiste, continuando a "fare soldi". Gli atti caritatevoli permettono al capitalista di diventare una persona "più completa", compensando lo scambio con la pratica del dare e soddisfacendo allo stesso tempo alcuni degli stessi bisogni creati dalle istituzioni e dai sistemi patriarcali mascolati4. Una tale attitudine è probabilmente più sana dello sfruttamento indiscriminato, ma si limita a migliorare il destino di pochi individui trasformando l'individuo donatorecaritatevole in un individuo più buono. L'orientamento verso l'ego del sistema si appropria della pratica del dono e ci incoraggia a usare i nostri doni, rivolti agli altri, per il miglioramento di noi stessi.

È solo dando per il cambiamento sociale da un metalivello, – con un meta-messaggio che dice: "Questo do-no co-municativo è fatto per cambiare il sistema verso la pratica del dono" – che il capitale-volontà diventerebbe generale, liberato e liberante; dando per cambiare lo stesso sistema (dello scambio) che lo ha creato. Questa scelta libererebbe il capitalismo dalla mascolazione e, provvedendo alle risorse finanziarie, libererebbe infine tutti noi per poter nutrire/dare cure, per praticare un'e-conomia del dono, la modalità delle donne. Chi occupa una posizione privilegiata, non può creare un cambiamento pretendendo di non essere privilegiato, o semplicemente dando via le proprie "marche quantitative" per diventare individualmente non privilegiato. Si dovrebbe, piuttosto, trovare il modo di usare il proprio privilegio su un meta-livello per convalidare il modello e la logica del dare al posto del modello dello scambio.

Ho sentito una frase che viene attribuita a Winston Churchill: "Il punto non è distribuire equamente la povertà, bensì distribuire equamente la ricchezza". A parte l'uso della parola "equamente", mi sembra un'idea molto importante: dobbiamo centrare l'attenzione sulla ricchezza per tutti, non su un nuovo sistema di povertà per tutti. Non è rendendoci tutti ugualmente poveri che cambieremo il sistema per il bene di tutti. Solo l'abbon-danza permetterebbe infatti il prosperare della pratica del dono. Dobbiamo perciò usare la nostra ricchezza di risorse, il denaro accumulato nel capitale, la nostra terra, la nostra educazione, esperienza, capacità comunicativa, sapere politico, psicologico e organizzative, i nostri gruppi e reti per creare una transizione intelligente, non violenta, dal sistema basato sullo scambio a un sistema basato sulla pratica del dono nell'abbondanza.

Un passo nella giusta direzione sarebbe arrestare la spesa enorme che viene sprecata oggi in tutto il mondo sugli armamenti e sugli eserciti. Un altro passo sarebbe per-donare il debito del cosiddetto "Terzo Mondo", con la consapevolezza che il debito non è altro che un meccanismo artificiale di sfruttamento che in realtà è già stato ripagato milioni di volte. E ancora, fermare la distruzione dell'ambiente, assicurerebbe l'accrescimento del-l'abbondanza nel futuro invece di farlo sparire in un ecosistema artificialmente impoverito e tossico. Una riduzione ben pianificata dello sfruttamento e dello spreco consentirebbe l'accumulazione di una ricchezza destinata alla pratica del dono tra gli individui, come anche tra i gruppi e le nazioni.

Una leadership delle donne

Per il modo in cui le categorie della mascolazione hanno proliferato, molti di noi appartengono a varie categorie differenti: siamo privilegiati in quanto bianchi, ma non privilegiati in quanto poveri; siamo privilegiati come ricchi, ma non privilegiati come donne; siamo privilegiati come maschi, ma non privilegiati come persone di colore. Dobbiamo unirci attraverso le categorie non privilegiate perché siamo consapevoli della sofferenza, ma abbiamo anche bisogno di unirci dall'interno delle categorie privilegiate per trovare un rimedio alla sofferenza, per cambiare il sistema per tutti. Se ristabilissimo il modello materno e ci preparassimo alla logica dell'e-conomia del dono, potremmo prestare attenzione ai bisogni degli altri e soddisfarli, non solo a un livello individuale, ma anche sociale. La vera svolta non consiste nel porre una categoria piuttosto che un'altra in una posizione privilegiata, bensì nel mettere in atto l'orientamen-to verso l'altro basato sulla madre come normalità gene-rale, che superi e abbatta ogni categoria.

La mascolazione convalida l'interesse egoista su tutti i livelli (anche quello di una categoria o gruppo); dobbiamo anche essere altresì capaci di convalidare l'inte-resse dell'altro su tutti i livelli. La risposta non è certamente nelle categorie, ma nel dare e ricevere, nel co-mu-nicare l'uno con l'altro quali esseri umani e nel collaborare per risolvere i problemi generali, i bisogni di tutti, cambiando il sistema costruito sulla mascolazione.

È questo il cambiamento di paradigma cui aspirano la New Age e gli altri movimenti spirituali. Esso non si basa solo sulla consapevolezza – anche se questa ha un ruolo importante nel necessario spostamento di prospettiva –, ma sulla reale e pratica soddisfazione dei bisogni e soluzione dei problemi. A una tale pratica devono contribuire una certa lungimiranza e una sensibilità culturale, che individuino i possibili modi di soddisfare i bisogni psicologici e spirituali, come i bisogni di dignità e rispetto, per l'indipendenza e l'autodeterminazione di chiunque stia compiendo la transizione dallo scambio alla modalità del dono. Il cambiamento di paradigma può essere attuato dalle donne, al di là di ogni categoria. Le sue operatrici si trovano già in tutto il mondo, nel movimento internazionale delle donne; gli agenti non mascolati del cambiamento sono già presenti in tutte le case.

1 È forse per questo che ci è chiesto di coprirli; perché sollevano la questione dell'abbondanza e del paradigma del dono?

2 Anche le donne possono seguire i passi del padre, entrando in competizione con altre donne che hanno un ruolo materno e offuscandole. General-mente queste donne vengono poi a loro volta offuscate dagli uomini. Le femministe devono capire che non è prendendo più doni nascosti e cancellando il donatore che riusciremo a migliorare il mondo. Dovremmo invece promuovere la logica del dono e rispettare il modello di chi lo pratica in tutti gli ambiti della vita.

3 Il denaro è attaccato all'immagine di se stesso. La faccia del re o del presidente sulle monete è forse l'immagine stessa dell'auto-similarità.

4 Anche un gruppo come l'United Way, che raccoglie milioni di piccoli contributi, li incanala in progetti che si prendono cura degli individui senza agitare troppo le acque.


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